estelle et le lit
Eppure certi sogni progrediscono inesorabili
aggrappandosi a ogni stanza nella quale abbiamo vissuto o
solo attraversato, ma di spalle appena più scoperte
e nonostante le pulsioni ad allontanare il cuscino e spremersi
questo terribile sogno dalle tempie, questo rimane,
come il sebo composto di solitudine e smisuratezza,
stabile, grave, viscoso, rimane.
io ti spiego che non si può esistere
(da quando le formiche hanno lasciato il balcone
gli oggetti hanno ripreso a sparire, lentamente, davanti ai nostri occhi.
prima l'oggettobocca, senza il quale abbiamo avuto la più nuova fame
poi l'oggettopiede, da scartare tutte le strade intraprese per solo progetto.
allora io ti spiego che non si può esistere.
che il fatto di esistersi, in un modo o nell'altro, consuma ciò che costruisce.)
(project for safety)
Voglio un bel martirio di aereo a planare e fragorosamente crollare sulle
mura altogrigie di un giovedì di luglio, frantumare le balaustre
sghembe, le parole governabili, scope bianche e blu
sul marciapiede per farla via questa stanchezza come
scoviglio, via le aritmie da subire, le arterie occluse, le corde
logore o dirle crampi alla mia buona testaccia, via anche
il sole, lo zelo, il decoro, i miei satelliti di cortesia, e camminare
come se ancora non mi sapessi, guardare le mura e farmele
nuove, risalirmi daccapo, porgermi la mano, scrivere infine un'ode
al pettine degli alti palazzi, che segna le rive del mio cielo.
la fille classique
La fille classique s'impernia su attitudini decisamente coinvolgenti
la forma aperta le è congeniale, così come ama scalatori, asceti
e ogni esperienza vagamente temporalesca
si risente piuttosto sui tagli alle stagioni
e quando respira non ne fa una tragedia.
piace poi come si rilascia quando pensa di non esser sola,
la fille classique. con le mani tira piano un campo fino a farsene
una ragione, poi getta ciò che ne resta. sa rispondere a tono
ma lo fa assai di rado. piuttosto nel discutere la sua lingua
ammortizza il peso della scienza, o la sua più probabile assenza.
(la fille classique talvolta mi abbandona come io un'amante
sconfitta dal sonno, come se fosse sera, o mezzanotte, non certo mattina.
si discosta dal mio racconto tirandosi su la sua roba.
si prepara il caffè e non me ne lascia mai.
così io continuo a raccontarla perchè lei non vorrebbe.)
senza progetto. 1
così cadono appunti inenarrabili
scorte di parole appena sotto l'unghia
(infilate lettera per lettera, se posso permettermi di dirlo)
e la costante nervosa si fa dominio ottico
come un abito scuro improvvisamente disseminato di fiori bianchi o
improvvisamente privatone.
se c'è il vento che allora riporti ogni immagine, che venga a catodicizzare
questa semplicità che alleviamo a fatica, o meglio sarebbe
l'ordine delle cose che ci promettiamo come volantinaggio.
è così denso il pomeriggio che pare mattina,
o un componente imperfetto (se ci cadesse addosso sarebbe sera?) di giorni
ancora da costruire. io parlo, immagino carta, e scrivere,
e quell'impegno che mi si dice buono.
e quel disimpegno che mi si dice buono.
che poi tutto s'aggroviglia e non so più se scrivo o guardo e,
in ogni caso, non poterci rimettere mano.
emiliassenza (in utilizzo di)
Per come s'infilano sempre matite sotto le unghie,
questo non dovrebbe sottolineare la grandezza delle loro opere?
O testimoniare una qualsiasi lietissima mania.
Così dovrei imparare.
(Emilia prende il coraggio, e sulle mani si costruisce una macchina nuova
riprogrammabile in vista di pulsioni meno solidali,
che ogni tanto possa finire con lo spegnersi, o semplicemente guastarsi,
a differenza delle mani.
Poi comincia a scrivere, ma percepisce un ritardo nella sua voce,
un anomalo inchiodarsi e amalgama di sillabe impossibili.
Si chiude quindici mattine fra le mani meccaniche
e quando le riapre restano fra le dita alfabeti frantumati inservibili.
Eliminare le funzioni Emilia, le procedure, i tasti.
Di queste mani restino monili
l'urgenza la premura lo slancio.)
storie di selina – trittico
I
Se sarò bella, o cieca, o una fumatrice oziosa. Se mi starà bene un'aureola d'autorità quando fumo da sola e la luce bella mi fa male. Se dici che questo non ha nessuna importanza sbagli, e io posso solo fingere di tacere.
II
Piuttosto scrivimi qualcosa dell'amore grande e buono e brutto. Fagli dire, se riesci, che è il sacco pieno che sta in piedi e non quello vuoto. Fagli elencare tutte le armi bianche che conosce perchè vuole solo proteggere la sua a(r)mata. Oppure scrivi di un magazziniere e che chiami tutti tesorino.
III
Ma perchè scrivere ancora me, che mi do membra tanto appesantite da allungarsi e restare lontane e sottili, così la percezione stessa di essere un corpo, una cosa, un pensiero, una parola sola?
genoma del cuore scritto
"come un mostruoso organo esterno"
(Fruttero&Lucentini; A che punto è la notte)
(Per le mani legate, per le mani slegate)
Se tornassimo a redigere fogli bianchi,
se ricreare il niente dal tutto fosse quell'unico colpo di genio cui aspirare,
se ci staccassimo dalle cifre e dai nomi di noi.
Se elencandoci spietatamente giungessimo a soluzione:
1. Portare il cibo alla bocca e non la bocca al cibo.
Discutere del perchè i figli dovrebbero seppellire i genitori e non viceversa.
Se l'ipertrofia dei turbinati possa essere risultante di traumi infantili.
Certi amori come origami ben riusciti.
Apri la finestra, mia cara!
2. Aspettarsi 10 anni di pioggia, imputarli all'economia della paura.
Cercare il più assassinato degli amori in una lista redatta di notte, al buio.
Iscriversi in un qualche abbraccio per mezzo di una punta obliqua, disfatta, inefficace.
Perchè tutto è bene quel che finisce e basta, ma come crederlo.
Teorie in conguaglio per ricondurre il callo dello scrivano all'ansia.
discutiamo di quelle mattine nelle quali mi sveglierò e sarò un ragazzo bellissimo,
con i mastroianni che parlottano di schiena nei balconi.
'Le tette le ha messe via, sotto formalina.
Datele due gambe nuove, e che poi si arrangi.'
Si sbriciolerà crollandola a terra quando meno se l'aspetta
o sarà l'unica articolazione a salvarsi.
E una voce che segna un'apparente capacità d'imposizione.
Rotta per le labbra irritate dal freddo alveare di un microfono.
Stanno morendo tutte le vespe, vespe con mille specchietti.
Nella camera in penombra, squarci fotografici di città sparite.
Una sensazione strana a dita mandibola lobo.
(Luce mia, acqua di sorgente, io non ho più niente)
Portati a impazzire come su serie numeriche di dubbia provenienza,
Où as-tu cachées tes mains? Scusami, scusami, scusami.
Senza paragoni per le malattie delle mani, nè altre remote possibilità.
O forse un giorno perdere i gesti, gli itinerari, le sillabe
e cominciare un'arte nuova.
immagine: Danae, Artemisia Gentileschi