mercoledì 22 agosto 2007

fogli tirati via da pagine già pubblicate


L'archetipo quello del motus perpetuum dell'acqua, come ovvia mimesi della superficie e della profondità della coscienza - lievitazione degli echi e delle risonanze. Mimesi non nel senso di imitatio: valga per epistole a detrattori passati e futuri, posto che "classico" e "romantico" non siano altro che i bordi irregolari di una costruitissima area di sensibilità, cosmesi che un tale linguaggio non può che oltraggiare. Obliato nel calore della stesura il terrore, che pare diminuire, o sparire addirittura, mentre si scrive, cosa che consiste nell'aggiungere foglietto a foglietto; ben più di un'epistemologia ed un'estetica del frammento, un'esigenza ineluttabile, piuttosto, che aderisce a necessità intrinseche, dalle quali è a sua volta generata, senza che si possa sapere cosa viene prima. Forse qua e là delle date, incerte e poco leggibili, graffite. È la scansione a trionfarvi come strumento di un’elaborazione infinita. Si rifiuti ogni neoromanticismo: attenzione al materico, fabuloso deposito d'ogni sorta di incantamenti, leggende e sincronie inaudite, fra squilli del telefono, polpi minoici, memorie di volatrici del cielo. La trama, a raccontarla, non durerebbe più di un istante. Il lago non era dove si trovava di solito, non fosse per i neri del montaggio; Godard o Bresson. Traiettorie indefinitivamente deviate, nell'avvicinamento alla cattedrale o al castello, che paiono svanire nell'indistinto man mano che ci si avvicina un ambiguo sostrato di risonanze. Questo il carteggio. Picassiana la donna: nudità perlacea ora di biacca ora di fango, vi retroagiscono memorie di tetti parigini ripensate con tutta probabilità a distanza, sulla Costa Azzurra, la cui luce nondimeno è tutt'altro che estranea agli artifici ed alle accensioni interne al campo dell'immagine. Quel che la luce finge di rivelare: un ordine irreversibilmente rovesciato, l'inversione dello sguardo. Supremo compendio grafico alla trattazione dei volumi disposti in un cubo immaginario è il segno zero, mal tracciato, in copertina (allegro-andante-minuetto uno e due-presto). Dall'ovale all'ovoide, sia esso totemico o modiglianesco: nella veduta impossibile si dispiega un antinaturalismo che perviene al suo punto di non ritorno. Era il 1971. Là si separava il pesante dal leggero, in un tratto scritturale istantaneo, precisamente quello che nella scrittura non è riducibile a discorso, senza bisogno di ulteriori feuilletons e chiacchiere. Nel gran gala della meditazione una magia antica e potente: essere, non essere, il riflesso della luna sull'acqua, la vita e la morte dimenticate in un gesto invisibile. Sommerse dalla vegetazione le tracce. Queste non erano che un tributo all'incantesimo di riportare il silenzio, cartelle dattiloscritte