venerdì 26 settembre 2008

dal fondo manoscritto - atto unico in sette intervalli - scene ottava e nona (obscoena)





Si chiama natividad - intervallo ottavo di nessuno, a compendio
Demoiselles d'honneur et plateau - was ist Traum? - was ist Tod?
L'azione si svolge come segue: balla in un crescendo di fandango
Lotta contro un sé invisibile ne è sopraffatta lo sopraffà
Si straccia le vesti del tutto e le calpesta in un furioso
Battere di tacchi sull'impiantito di colpo le alogene
Lacerano la scena buia illuminando gli abiti stracciati e i passi finali
Si scalza con due calci uguali e distinti cala il silenzio e insieme il buio di colpo.
Lo sfondo testuale è una riscrittura redazionale del sonetto dannunziano intitolato Baccha. se detto suonerebbe come segue, se taciuto comparirebbe
come sopra. chi mi chiama? chi mi afferra? un tirso io sono un tirso coronato di fronde squassato da una forza furibonda mi scapiglio
mi scalzo mi discingo trascinami alla nube o nell'abisso sii tu dio sii tu mostro eccomi pronta centauro sono la tua cavalla bionda fammi pregna di te schiumo nitrisco tritone son la tua femmina azzurra salata come alga la
mia lingua - seguita alla nona eppure finisce qui

Episodio nono seguita da ottavo e da nessuno
Dunque a sé stante
Spezzare il karma - di come possa il vuoto
Colpire il vuoto cioè in nessunissimo modo
Dunque in questo:
chi mi chiama nel passaggio dal fandango al rondò da questo
al minuetto e dal minuetto al fandango. la buccina notturna
del tritone? Il nitrito del centauro un tuono panico?
Son nuda. Ardo, gelo. ah chi m'afferra?



martedì 16 settembre 2008

atto unico in sette intervalli - intervalli sesto e settimo























Intervallo sesto - scena di apprendistato

Pare una mula strafatta, invece è:
un'asina che disarciona un cavaliere inesistente
si impenna
si inarca e contorce in un'impasse dentro la quale
non può più andare né avanti né indietro né a
sinistra né a destra di nuovo percossa si dibatte
finché un dio la possiede
entra in un'estasi d'angeli inaccessibile allo sguardo
che sventolano mazzi fioriti sguainano spade
eccola esistere lì di nuovo
per la prima volta



intervallo settimo - provvisoriamente ultimo
detto ritmico - ti saluto bestiario
ansima visibilmente con respiri discreti
fra ruggiti di varie belve e versi d'uccelli
rotola via scompare scomparendo torna
in pulviscoli che paiono coriandoli scoloriti
lunghe spirali di fumo interminabili a commentarne
la scomparsa. Infatti: è qui.



memoir foster wallace - atto unico in sette intervalli - da uno a cinque






Atto unico in sette intervalli

Intervallo uno - a HE XIANGU

Cade, per ripidissimo dirupo
Si rialza
Cerca, trova una pietra
L'ingoia vola via sparendo - è diventata
Immortale
alata ritorna.


Intervallo due - a Pernelle - aurora consurgens

Fissa nella pagina multicolore che legge e ricopia
Figure nelle lettere e lettere nelle figure
Poi fogli bianchi fino alla trasparenza l'avvolgono
Vagamente nuda in un sogno si rigira stirandosi
Fra i riflettori che simulano l'aurora.


Tre, detto del cigno

Invisibile
Gravita ammantata
In un incubo di monaca - scappa dalle vesti che cadono a terra
Rapidissimo sfreccia il corpo
Scompare
Un colpo d'ala improvviso
Di ritorno esce lo spettro in tenui luci di fiamme


Quattro, detto del ratto di PERSEFONE

Trascinata via qua e là
Afferrata
Abbracciata
Circondata
Resiste
cede
fugge
catturata
sparisce
riappare
fiori trascorrono in un lampo


quinto. intitolato: che stranezza che una bambina sapesse fare
una cosa così. To the lighthouse.

Autoimmolatasi su un altare di gigli
Nella luce fioca dell'abat-jour
Dunque si accarezza svanisce risorge
Sfolgora una stella.


venerdì 12 settembre 2008

Sensibili al cloruro - fondo dattiloscritto








Rito d’iniziazione sciamanica presso alcune popolazioni inesistenti dei deserti australiani: la più leggiadra fanciulla della tribù a 4 zampe nella capanna sacra il vecchio sciamano dal diritto di sentenza prende la bocca la nera bocca e il giovane il culo in ammissione di terrenità: a 6000 km di distanza due innamorati su una panchina confermano di non ricordarsi i propri nomi: essenze durissime si levano dalle ciotole d’osso sotto il tetto della capanna: e nel fumo urlante vedo me stesso e vedo il mio mostro: e gli sciamani continuano a pestare fino al fondo: in un crescendo di antiche agonie: e il mio mostro: non mi trovo pienamente d’accordo con qualcosa che si sta divorando: e gli sciamani le vengono dentro: ed assieme: un fiume nero la scuote: siglando il patto della loro intensa contemporaneità karmica: fidanzati che non trovano le proprie labbra al buio sono costretti ad azzannarsi
scegli come più ti piace essere sussurrata tra questi piccola mia e amoruccio e tartarughina pocahontas orsacchiottino
dammi quel fazzolettino
bella bergera e così sia
la fanciulla oltre gli schemi cucita ogni sua porta a trattenerne issata sopra un palo: io e il mio mostro danzando nell’ombra potremmo persino riconoscere la grazia del totem: il gusto del tempo: quando avrai finito di mangiarmi sarà quasi giorno ormai: potremmo andare a prenderci un caffè dei boulevards senza rivolgere la parola a nessuno: nemmeno a lei




Da testi già pubblicati: Cicli del Beccafumi




prologo

ella taceva
affondata e sospesa nel silenzio altissimo
dei suoi occhi, il Beccafumi concertava
traveggole e fughe, fra scorci scombinati e lascivi.
Un esercizio elisabettiano, per una sola mano
inizierebbe così: se vi fosse piuma, petalo, anello
o soffio, qui un segno (mi) è dato, degli occhi di ella
il silenzio immenso, saldato alla piega che
non è piega, e che cancella
tutte le parole, intelaiatura materialistica
del profumo e del sogno, e finirebbe così
press'a poco: ella taceva, affondata e sospesa.


ritratto (II) con paesaggio

Per qualche regina uscita un giorno
dal nero della terra nera uscita un giorno
della nera terra.
Per te il ventaglio schizofrenico dei gesti.
In una valle che va
più su
più giù
in un quadro perduto, in una perdita
che è musica, in una musica che
di luce perfonde le cavità bagnandole,
i rosoni -eccetera- dove il Beccafumi sorrise,
una volta ancora escogitata
la fuga.


e fu impaginatura liberty
con accenni ed accenti che il Beccafumi
spiava floreali, capocchie rosa o grigio fumé: fu
poeta persiano nella portineria
jolly di memorie, nel mazzo centrivoco e centrifugo
delle sue carte, che teneva sparse e riposte ovunque.


magicamente (ripeto: magicamente)
la figura fresca di lacche e di terre
iniziò: prese a dire
nel forse
nel può darsi
nel certo qual senso
nel su per giù.
Il Beccafumi taceva in un ascolto convesso,
di una convessità nomade, in fuga e che
perdeva sangue, logicamente.
Poi proseguì con il
non è un vizio è un'arte
perché, così.


IL TESTO CORROTTO DI UNA BIOGRAFIA

Una biografia moderatamente uretrale
circondato da culi il Beccafumi scorse
ancora un bicchiere, un piccolo calice di vetro,
e Sodoma sarebbe finita, mancava poco,
molto tempo aveva da trascorrere nel parco.
ancora una volta.


LE OTTO ETEROTOPIE DEL BECCAFUMI

Retrogadante granchio
lo sguardo bolliva acque la palude fumava da molto
aprì pianissimo le chele fisso nella lentezza del moto
una tenda fu scostata lasciando vedere la scena in cui si nascondeva

avrebbe bevuto tutto
gocce calde brillavano sulle sue labbra in figure di passaggio e fuga (uno)

fumo azzurro guadagnava un soffitto di crepe (due)
stringeva in mano un piccolo bicchiere (tre)
i suoi occhi ascoltavano suoni fluttuanti (quattro)
vedeva navigare la luna tonda a velocità folli fra le nubi (cinque)

correva di notte su un ponte altissimo ridendo a squarciagola (sei)

diveniva immortale fra le montagne (sette)
guardandosi in uno specchio incrinato si faceva penetrare (otto)


Cerca il mio volto in un vetro,
il mio sguardo nello spiraglio di una porta socchiusa
la gaiezza di Velazquez in una vampata: in questo buio
c'è un'infanzia ed il rumore si fa silenzio
una delle notti in questa fascia di fuoco
gocce e grovigli disperdono il tempo che è solo a patirli,
cerca il Beccafumi nello sgabuzzino
è stato il gatto, è
stato il gatto.


Mai più le urla ed il rumore di quel che sopravvive
o il lagno, o un che di diverso
dal canto dei violoncelli o musica
e dal volo lontano nera ala di corvo volteggiante
per un cavo cielo di piana apparenza
disturbino più il tuo orecchio; sia solo il silenzio
gridi le sue condizioni
ed i segni:
facciano quello che vogliono
che al sabato ti sciamano intorno
tu contemporaneo silenzioso, sciamàno,
fondatore d'ombre, uovo opaco del dissignificare perpetuo.


eccole d'argento le due e
molte lune, i cerchi
del respiro che naviga per
gli splendori notturni opachi o trasparenti
nell'ora stessa nell'ora differente
innumerevoli i dischi nella rotazione immobile
pura meraviglia circolare senza centro
senza fuori senza dentro, la dolcezza del ventaglio
lo sguardo, l'argento, i vapori di venere.


Tende o sipari, drappo di pieghe,
scura ombra densa e piena
in un blu di più blu dipinto luce passa
nasconde il separé della luna, investito
dal manto il corpo dello sguardo rientra
in sé fa corpo immortale, coincide
chi sa se con il blu. Il mattino dopo
fra il fumo del caffè cercò Artemidoro
fra il fumo della cioccolata cercò Apollonio
fra il fumo della pipa cercò la traumdeutung.


DOMINICUS VIDIT

Io, Domenico vidi la scena una sera,
filtrata da rami e rade foglie in forma di cuore,
le tre arcate con le tre luci
le due fiamme guizzare, correndo da un punto all'altro.


LE DUE LUNE E LA ROSA

Oro nell'azzurro e rami neri, giallo di luce
il Beccafumi di tale e quale profusione argomentando,
legni lucidi come e più di specchi,
una birreria sommersa dai fumi,
un atto mancato per la perdita di uno o più tempi,
l'atto mancante bevuto in sua assenza,
"avrò le due lune e la rosa"
sentenziò calandosi in gola un sole d'ombra, un oro bruno,
un globo, quasi di tenebra.


IL BECCAFUMI SI RIVOLGE ALL'AURORA DICENDOLE

fin da te è un abbraccio liquido
un aprirsi di corolle circolari, di piccoli calici
la serata precedente fra un'orchestra ed una luna pallida
lievemente gonfia.


IL BECCAFUMI NEL FUMOIR

Vide dio: chiamandosi teneramente
e per ischerzo guidogozzano o dylanthomas.
Era quetzalcoatl, il serpente
la grande bestemmia, il blu
dipinto di blu, il loico, il libidico,
il teologo, non si occupava
se non dell'invisibile.


Presto arriveremo a durango, o a bisanzio, là
dove il punto di vista crea l'oggetto
e fra due fiumi come il tigri e l'eufrate
o dove gioca la croce del sud in uno specchio tremulo
lì dove c'è una stella, una stella
che usciremo a rivedere, fanciulla,
sacra prostituta, manto di giaguaro
sei questo viso che ride d'ogni sciagura
e di tutte le catastrofi, questo scheletro perlaceo che non è più
un discorso, che non lo è mai stato.


Piange al capezzale dell'estate,
prevede scene turche, negre, torinesi,
sarà autunno felice per lunghe ombre nel pomeriggio,
aiole abbandonate, fumo fra i docks, arrivando come se fosse un'alba
e l'esperimento della gran vacuità.

Un sogno di vento: non è il diamante,
non è la sfera di cristallo:
la bolla, solo la bolla.

Di ottobre in un respiro lo stradario folle
la fine del sonno di millenni, la colomba,
l'interminata veglia che fu un concerto sospeso
lo scorso settembre
nel corridoio degli affreschi,
ritornare sui luoghi, sul luogo, tutti i luoghi
dove respirava, dipinto forse in forma d'isola
nel box, d'angelo o di nera nube, densa e gonfia.


IL BECCAFUMI IN ASCOLTO

Il Beccafumi intuì la fanfara
in un reticolo malatissimo a formazione simultanea
dal lato sx colavano rivoli
distendendosi filiformi
luccicando di perla di prussia di garanza
intuì la fanfara splendere beffarda
in un reticolo ritornante
nella grande salute, nel più gaio dei saperi.


non solo l'occhio
di tempo neppure una goccia.
Andromeda ed il Granchio retrogradante dimora come
al cinematografo la luna tenuta sulle ginocchia non
il tempo né l'occhio, potenza di luce non più che fumo
la sembianza fugace iterandosi, fiore d'acqua, non
più tempo solo una macchia e segno
il buco elastico della notte piena, né solo l'occhio.


Fu madrigale fra arabeschi hermetici
cantato nel silenzio di un'eleganza sinuosa
… ella giaceva riversa e soffusa
la luce discendeva
dalle quattro post meridiem
giù all'incontro in cui la notte (la Notte) ed il giorno (il
Giorno)
confricano le epidermidi in un movimento danzato,
che sia di due, di tre, di quattro;
che sia grigio, rosso, rosa,
o di un verde infante
prima, puerile poi.


avanti a lui sonagli d'avorio sferici
danzavano nell'utero, quel suono il Beccafumi
da tempo tentava di dipingerlo.


IL BECCAFUMI TROVA LA TROIA DI BENESSERE

Il Beccafumi si trovò
una troia di benessere.
Il tenue profilo, la dipinse
quasi occultata dal tronco dell'abete.
Il cielo divorato dai rosa in fondo.


Questa volta il Beccafumi erano in tre: in due specchi
dunque quattro, commentarono, e la nebbia saliva,
dodici di loro, tutti traditori, fissi nell'immobilità della fuga
con il bavero di pelliccia rialzato
(Huineng: non c'è specchio)


CHIUSA APOCRIFA (NATIVITA' DELLA VERGINE)

spazi bui dentro spazi ancor più bui
qui e davanti non c'è che altrove
in quest'ovunque d'apocalissi nerofumo

spariscono gli anni i giorni i tempi i luoghi.

I nonni di dio nel campo visivo
in quelle stanze dove il vuoto medita su
sé stesso. Presumibilmente: terminale
di sovrasenso l'accesso all'ipercosmo donde

di nuovo si esce per la prima volta
dal mondo


supposto epilogo

IL BECCAFUMI VIAGGIA IN UNA FINTA PRIMAVERA

era, sarebbe stata, lì da prendere
in sul parquet la vergine applicata
sfuggita dalla mano del falconiere
in spirali discendenti calava, la colomba



lunedì 8 settembre 2008

sensibili al cloruro - st









Ieri ho visto un uomo che mangiava il proprio culo
e sembrava gli piacesse.
La testa tra le gambe gli arrivava senza sforzo
alla base delle chiappe
per farsi da lì strada
aggrappandosi coi denti
un morso dopo l’altro
tra strati di vestiti.
Strappava via pezzi di pelle e di grasso
masticandoli del tutto senza fretta
ma senza d’atra parte ostentazione,
con pause occasionali in rari casi di scorreggia:
discretissime, tra l’altro.
All’osso non era interessato,
e ogni volta che coi denti vi arrivava
deviava, a spirale,
procedendo con perizia
a rodere ogni polpa
per lasciare per ultimo il buco del culo.
Le fibre striate dell’ano
gli diedero allora buona presa
per succhiare e masticare lo sfintere
il quale
(posso solo immaginare)
gli si andava riversando nella gola,
seguìto senza pause
dalle morbide spire intestinali.
Pareva assorto e intento,
(almeno fino a quando
la faccia fu visibile)
poi prese ad affondare
la testa dentro al culo
scavandosi la strada, senza dubbio,
boccone per boccone.
Intanto il di sopra del corpo
si mise gradualmente a diminuire,
le spalle, il torace, le braccia
risucchiate verso il centro del rituale,
con qualche affievolito scrocchio d’ossa,
da dentro,
e lo sprizzo
appena udibile, lontano,
del fluido che deflagra da una sacca dentro all’altra.
Così sui due fronti continuò l’introflessione
fino a quando tutto quello che rimase
eran le gambe, in linea retta,
attorniate dal cerchio del collo
piantato nel culo
ed ornate sulla cima dalle dita delle mani
che spuntavano
e ancora dondolavano
lente,
pacifiche,
nell’aria,
quasi morbidi tentacoli di attinia.
Tutto questo accadde alla fermata del bus dietro casa
e pensai “Cristo,
certa gente
non rispetta proprio niente”.
Poi arrivò il bus, puntuale al secondo.