Ieri ho visto un uomo che mangiava il proprio culo
e sembrava gli piacesse.
La testa tra le gambe gli arrivava senza sforzo
alla base delle chiappe
per farsi da lì strada
aggrappandosi coi denti
un morso dopo l’altro
tra strati di vestiti.
Strappava via pezzi di pelle e di grasso
masticandoli del tutto senza fretta
ma senza d’atra parte ostentazione,
con pause occasionali in rari casi di scorreggia:
discretissime, tra l’altro.
All’osso non era interessato,
e ogni volta che coi denti vi arrivava
deviava, a spirale,
procedendo con perizia
a rodere ogni polpa
per lasciare per ultimo il buco del culo.
Le fibre striate dell’ano
gli diedero allora buona presa
per succhiare e masticare lo sfintere
il quale
(posso solo immaginare)
gli si andava riversando nella gola,
seguìto senza pause
dalle morbide spire intestinali.
Pareva assorto e intento,
(almeno fino a quando
la faccia fu visibile)
poi prese ad affondare
la testa dentro al culo
scavandosi la strada, senza dubbio,
boccone per boccone.
Intanto il di sopra del corpo
si mise gradualmente a diminuire,
le spalle, il torace, le braccia
risucchiate verso il centro del rituale,
con qualche affievolito scrocchio d’ossa,
da dentro,
e lo sprizzo
appena udibile, lontano,
del fluido che deflagra da una sacca dentro all’altra.
Così sui due fronti continuò l’introflessione
fino a quando tutto quello che rimase
eran le gambe, in linea retta,
attorniate dal cerchio del collo
piantato nel culo
ed ornate sulla cima dalle dita delle mani
che spuntavano
e ancora dondolavano
lente,
pacifiche,
nell’aria,
quasi morbidi tentacoli di attinia.
Tutto questo accadde alla fermata del bus dietro casa
e pensai “Cristo,
certa gente
non rispetta proprio niente”.
Poi arrivò il bus, puntuale al secondo.
e sembrava gli piacesse.
La testa tra le gambe gli arrivava senza sforzo
alla base delle chiappe
per farsi da lì strada
aggrappandosi coi denti
un morso dopo l’altro
tra strati di vestiti.
Strappava via pezzi di pelle e di grasso
masticandoli del tutto senza fretta
ma senza d’atra parte ostentazione,
con pause occasionali in rari casi di scorreggia:
discretissime, tra l’altro.
All’osso non era interessato,
e ogni volta che coi denti vi arrivava
deviava, a spirale,
procedendo con perizia
a rodere ogni polpa
per lasciare per ultimo il buco del culo.
Le fibre striate dell’ano
gli diedero allora buona presa
per succhiare e masticare lo sfintere
il quale
(posso solo immaginare)
gli si andava riversando nella gola,
seguìto senza pause
dalle morbide spire intestinali.
Pareva assorto e intento,
(almeno fino a quando
la faccia fu visibile)
poi prese ad affondare
la testa dentro al culo
scavandosi la strada, senza dubbio,
boccone per boccone.
Intanto il di sopra del corpo
si mise gradualmente a diminuire,
le spalle, il torace, le braccia
risucchiate verso il centro del rituale,
con qualche affievolito scrocchio d’ossa,
da dentro,
e lo sprizzo
appena udibile, lontano,
del fluido che deflagra da una sacca dentro all’altra.
Così sui due fronti continuò l’introflessione
fino a quando tutto quello che rimase
eran le gambe, in linea retta,
attorniate dal cerchio del collo
piantato nel culo
ed ornate sulla cima dalle dita delle mani
che spuntavano
e ancora dondolavano
lente,
pacifiche,
nell’aria,
quasi morbidi tentacoli di attinia.
Tutto questo accadde alla fermata del bus dietro casa
e pensai “Cristo,
certa gente
non rispetta proprio niente”.
Poi arrivò il bus, puntuale al secondo.