mercoledì 29 agosto 2007

conversazioni che non si faranno più




Quel che segue è la distruzione di un testo dal novantaquattro ad oggi, quanto a referenza, colloquialità dichiarata per quanto inesistente, performatività tentata e mai raggiunta per quanto divulgato tramite supporto papiraceo - segna un punto di svolta, nella sua insignificanza, rispetto all'andamento che informa questo posto e l'estensione dei testi che la occupano, non devastiamo frasi già sgraziate con la parola gestione, per esempio. Che resta? Forse una qualche forma di pertinenza, non così immediatamente identificabile e coglibile. Verrà definita oltre, da qui 'ipocrisia, intesa come messa in scena della "citazione"


"...non si spediscono le lettere vere, perche sono di oggi e perché non arrivano - più in nessun oggi." Il tempo stesso è lo stesso tempo? Oppure né continuum né flusso, né mescolanza, temperie, epoca o clima (o addirittura "storia") come si voglia traducibile in qualche sistema figura - sfondo; ma piuttosto interruzione, ritmo, pura differenza inestesa ancorché localizzata, liberazione delle facoltà decronologizzanti dell'aion, intabulandosi tutto questo come "qui" (la scrittura, forse) e "là" (l'opera), nell'insolubile incertezza e nell'indeterminazione di quel che è detto "ora", "adesso"? "La morte del passato, l'inesistenza del futuro, le infinite possibilità del presente, l'attendibilità ontologica dei prossimi cinque minuti...": il segno, suprema finzione, quella di un assoluto, irrecuperabile al gestaltico. Analogamente la fotografia, immagine e non raffigurazione, occupa uno dei culmini d'una memorialità e d'un fingersi quasi leopardiani. Se a guardare (e a vedersi vedere) l'opera è una maschera funebre dagli occhi chiusi, non si tratterà allora di autocontemplazione di un interno inaccessibile? Dentro l'intervallo vuoto della meta-rappresentazione video? Eppure sul logico espositivo, che garantirebbe una cornice ed una chiusura nonché un regime concettuale, prevale l'estetico, l'indeterminato (o indeterminante) aprirsi del e al senso: un'estetica di quell'istante che va alla deriva e si ferma fuori dall'entropia in cui sorge ("...vanno abbandonati i concetti di realtà e di località..."). Di questa fuga, atonalmente l'arte (che è cosa mentale) modula le mutazioni spettrali".