Sovraccarico di fiori miracolosi che moltiplicano l’estasi un forte gemito di sesso femminile notte d’agosto nella chiarità del riquadro corpi a godere l’uno dell’altro e di sé stessi, un’anamnesi anterograda, cancellate i giorni e gli anni eliminate il mondo esteriore e quello interiore, dimenticate la fine e l’inizio, l’istante e la durata, nomi che toccano nomi non solamente negli epitaffi, si muovono fuori dallo spazio, riposano nella profondità oscura, camminando nel cerchio dove tutto giunge a compimento, inizia quando tutto era già finito da un pezzo, settantanove, novembre, qualcosa di astratto fra il cielo e le colline, lo schermo acceso, tardo pomeriggio, fra nebbie grigie di cenere gelida, un rapido amplesso sul divano, esplode a nove mesi di distanza, non un nome ma l’attributo della luce e della voce, se ne accenna nei regesti dell’areopagita e in questi altri, scribi già là, nel calore di luglio, se denotasse fata o angelo o che la brevissima designazione, che tutto racchiude, colma un debito infinito.