lunedì 31 marzo 2008
didascalia iconografica che prelude alle brevi lettere di lungo addio,primo scolio al teorema del cavaliere bianco
Pubblicato da riccardo cavallo
Etichette: didascalie iconografiche, simone aimetta
didascalia iconografica in tema di testi iniziati che non riescono a continuare
Pubblicato da riccardo cavallo
Etichette: didascalie iconografiche
didascalia iconografica concepita come intervallo fra testi che non riescono a continuare e neppure a finire
Pubblicato da riccardo cavallo
Etichette: didascalie iconografiche
didascalia iconografica intesa come interludio fra testi che non riescono a cominciare ed altri che non riescono a finire
Pubblicato da riccardo cavallo
Etichette: didascalie iconografiche
mercoledì 19 marzo 2008
nota in tema di uscire dal novecento
Pubblicato da riccardo cavallo
Etichette: conversazioni, sgorbi, stringhe
nota in tema di testi avvitati su sé stessi ed autoreferenziali
Pubblicato da riccardo cavallo
Etichette: conversazioni, sgorbi, stringhe
lunedì 17 marzo 2008
eliana deborah langiu - seta
La caducità della bellezza Logorante
E la resistenza indefinita della violenza
Non c’è scampo oltre lo sguardo
Ricordo tutti gli occhi che ho incrociato e tutti Mi feriscono
Si contendono l’ attenzione dei miei
Con la vita che continua a urlare dalle palpebre aperte Di come li ricordo
E ho sempre fame
Anche dopo aver vuotato la dispensa
Ho fame
Nella fuga senza fine dai richiami continui di elementi esterni
La mia fame Si fa spropositata
Si riversa nell’insieme di tessuti e fluidi definito corpo Con masse adipose
La cellulite pesa sulle gambe La cellulite pesa sui fianchi
La pelle si aggrappa ai fianchi
Nell’effetto di un drappeggio
La corsa incontrollata dell’epidermide all’inseguimento della gravità
Spoglia rapidamente
Il corpo di anni L’illusione dell’età scompare
Mi stupiscono i tessuti rilassati le rughe sotto gli occhi
Quando sono arrivati Perché li vedo
Sul volto infantile si va formando una maschera tessuta di rughe e turgori
Un bozzetto horror-fantasy che mi diverte
Chissà cosa succede dentro Cosa si prepara ad emergere o a lasciarmi
L’asfalto nero spento dei polmoni Lo stomaco ferito da nimesulide e ibuprofene
Dovrei prepararmi al cambiamento La clessidra mi blocca
Ipnotizzata dallo scorrere ruvido della sabbia Quel ruvido setoso della sabbia bianca e fina
Che a poco a poco consuma i polpastrelli
Mi taglia le dita
Pubblicato da riccardo cavallo
Etichette: eliana deborah langiu
eliana deborah langiu - sabbia
Soppeso attentamente il non fatto
Misuro con pignoleria l’irrealizzato
La sabbia scende celere le dita strozzano il centro
Della solita clessidra
Quattro giorni fa sventato un attentato a londra
Cinque giorni fa passavo il controllo a stansted
Con un bisturi Nella tasca anteriore dello zaino
Paura retroattiva E l’insoddisfazione
A cavallo tra metal detector e nuovi incarichi
Valuto l’inutilità complessiva della predisposizione
Al mio lavoro
È la vacuità delle decadi a sposarsi con la vacuità professionale
Le gatte mi ancorano alla vita impedendomi di perdermi
Sui marciapiedi
Sono responsabile di loro
Le gatte mi impediscono di scappare lontano dal legame amniotico
Dalla sua solitudine disperata e inattaccabile dalla voce al telefono
Dalla solitudine che si rinnega e si rivela
Istantanea
Io dissimulo meglio
Si direbbe che sono
Felice
Mentre il mio sguardo sbatte alle quattro pareti della camera da letto
E la mente cerca di restare circoscritta allo spazio delimitato
Dai muri e dallo sguardo
Pubblicato da riccardo cavallo
Etichette: eliana deborah langiu
giovedì 13 marzo 2008
da prosthesis
roberto cavallera - da prosthesis
anche qua dentro: del come e perché arrivarci e restare è un altro discorso
all'epoca della prima registrazione già sfumava un piacere consumato a fatica. iniziava per e finiva per
a colmare carenze in
il taglio va e non va, ma per conto suo, procede intermittente tra fondi (amarissimi) di caffè. s'è già al caffè in questa vita oziosa, precedente
magari qualcosa esprimibile in decimali, in fratti, in radici buttate lì a caso, s'intende
la seconda registrazione trascritta su carte tremende, strappabili, ai bordi stanno piccoli animaletti disegnati a matita. un leone fatica a stare in piedi, tanto era il tempo che non masticava più nulla, più nessuno
dal taglio partono spostamenti longitudinali. gli a capo sono continui quanto inutili
apri una nuova finestra
v. sfatti. divorati. diafani corni da favola. barbe al nero d’inferno. code rosse. accese. forche di fumi. fate implumi. affrante. sfatte. saldate. ermetiche. perché più nulla le possa rianimare. guardati dal basso. proprio in fondo, al centro. minuscoli stanno ancora lì a colare, pazienti. tanto che non sembrano nemmeno toccare. guardano dal basso. muti. esterni. detto così
se desiderate cantare questo è il tempo (il ritmo) (non tiene) tirano avanti
pensare cosa. fermo
riparte
in modo da il nome, il ritmo (il tempo
enumerati in modo eccellente, più rapidi, per una realtà di massima, regolata al taglio d’una
enumerati in modo eccellente, rapidi, precisi, adatti al movimento, più sopra, tracciati ancora ma allentata lievemente la presa (s’avverte
enumerati in modo eccellente i fiori, i fiumi, la sabbia, il mare, i fiori, le stelle, ritrasmesse
vederne tante, serene..
fuoriusciti da un sottosuolo instabile. preferita la forma al problema (chiedere dove (poterla trovare
(intorno
enumerate in modo eccellente: la curva, le colline, le montagne (doppiamente alte
graziose, d’un senso tutto loro. giusto vederne ancora un poco, il giusto, preciso, e che funzioni davvero, come davvero
inneschi a tratti in eccesso. aperto, chiuso
scatta il riuso (si temono eccedenze). lampeggiate rotte (state
estratte letture di linee. di testo. estese derive tirate giù perché sì, ingerite, digerite, perché no
nota: azionamento posticipato: cibo turbine sale. il difetto è nel difetto. dubbio. blocco del. potrebbe durare minuti. seguito deflusso regolare. in tinta. traslucido. sereno
inumidita la chiara, l'iride dura cremosa presa tra linee di tenuta. al passaggio dello sguardo si ritira. trasmesso per radio tutto il vero: aperto, chiuso: stesa biancheria gonfia d’incanti
moltitudini. così. desiderate. i bordi del viso fanno un paese, a prima vista. segue attesa
lavorio fiero e piano della luce solo vedere
tester pagina precedente pagina successiva
tutta una linea, un disegno, resistenze, piani di progressione
rispondere calma, giù - spargere puntuale e prezioso alito sottile, passa, entra
slacciato dietro. uscire dalla parte - intorpidito - vago - ombreggiatura - spolvero (dato al vero) (sicuro - bozza: eliminare
nota: su cosa accade o si presenta per un tempo limitato, farne cosa, a senso, farne proiezioni, farne meccaniche, sprechi, ripetizioni
modulo: che tutto si limiti ad un insieme, una massa, un cibo. a contabilità semplificata delle entrate, delle uscite, fessure prestabilite, successive (a parte
di sotto, imparare a starci - imparare - imparare
nota: farne liste, colonne, principi di fumo, manco incendi, brevi, una frase o linea
darne forma, rosa, una rosa, farne cosa, una rosa veloce. lento
modulo: materiale, da una parte altro, dall’altra, altro. ridurre a linee
a guardare bene (storte
scandita la misura per l'avanzamento odierno
osservazione emozionalmente attiva s’avvicina, la ricompone
la taglia longitudinalmente, ne fa due parti, salda le cuciture, le increspature. troppo vicine
pioggia stomaco vuoto ecco che esita davanti a non si sa come
sospeso tra un se e un come del resto
spunta una luna deforme, non ha cerchio
viene profetizzato un epitaffio, s’annunciano tenebre, lussurie, morsi divini dati per poco, mangiati per meno, espulsi ancor meno
profetizza annuncia vede l'imminenza brillante una stella propone una sommossa perdendo il morso scaduto profetizza una stella denuncia una sommossa dorme imminenza straziata una stella distrugge sommossa vendica imminenza brillante omette denuncia dorme smussato profetizza una stella infortunio distrugge propone terrore perde morso scaduta profetizza annuncia profetizza sommossa dorme vendica
domandate... comandata... la risposta è qui a destra qui
anche se allora ha ritenuto più come un sogno a me. ho trovato. ed allora...
utile alla masticazione circa il tempo perso con
(qualunque
visti esempi di viti inserite in - rotolate fin qui
orbita terracquea in generale, chiedete. abbastanza correttamente così... appena cosa suona come oscillazione tipica o qualche umore m
r
nell'interesse a volte di i della possibilità di noi abbastanza corretto I deve sempre ricordare, per attaccare. parlano di possibilità, si interessano probabilmente, dotati, buoni
numeri: dietro non è sopra completo
immagine elaborata ri - colore grigio
ritardo due
fisicalismo post-iniziatico, appunto illustrazione generata né più né meno da un fatto
ha gambe corte
tiene un’espressione originale mi rispetta proprio quando mi desidera ecc
sinteticamente si riduce e si ristruttura l’impianto minimo del dare, dell’avere - ovvio che si adatta, ne viene particolareggiato l'aspetto (di moralità specchiata, pensabile, precisamente
analisi originale: riassegnata al contesto
riprova, trasporta, opposto - viene prodotta una sintesi. a contrasto, a guazzo, alla cazzo - accenna a due
spiritualismo, azione: lo sposta - lo alza - lo esamina - semina origini - spiega come ordinare, analizza, si sposta, viene - riproposto fisicalismo semiotico relazionale - provano - spiegano - tirano
se da un lato identifica, dall’altro specifica - riassegnare alla dimensione, richiamo al moto proprio, perpetuo, conclude
dichiarati, immediatamente accosentiti a cambiare - profilo migliore
gentilezze - cortesie - stare un gradino, una scaletta sopra - procedere per steps
relativo - la differenza un niente - notare quanto segue: la seconda parte è poca roba - più corta. limitarsi alle funzioni - umor - liquor
il lettore suppone che siate un id
in chiave domestica. perlustrativa. da spendere con un avanzamento interstizio (consistente in generi di
malattie:
perché non è ritorna? a: la trama sempre
a: selezione principale di
b: computare ricerca
a: equivalente al primo posto (grattare) la zona argento
seminare amene selvatichezze in attesa (con speranza) d’una chiamata
circa ieri. shak vita di h mill m vita di
a: segue a
approssimati integri
shapely & fine - gentile. ho apprezzato molto il suo int
ritenuto che mai che poiché tutti gli attacchi dei
reggere tenere il flusso rifiutare se reggere se tenere se fatti se
q: perchè a
q: come
non caratteri: poveri, legnosi attacchi di vista sar
custoditi da mancanze metaboliche domani, sì
mangiato con tristezza terribile ma basta, porzioni
essendo date contenzioni:
tutto visto con come punte stoccate da baleni bronzei (notturni
(quando eravamo giovani eravamo
combattuto fuori - passaggi presi da fuori - tenere stringhe celesti bianchi (morbidi
(subito veri
a: descrivete la vostra pagina profilo utente
qui per nuovi aggiornamenti - andare al testo: selezionare campi
disinserito - entrate formidabili di decisori
la risposta era: mary
disposto e misurato:
a:
oggetto: memorie da cinematografo
oggetto: per le istruzioni vedi sopra
osservato: a breve le osservazioni saranno modificate - commento
scritto, registrato
comportarmento aggiunto alla parte posteriore del
vista dentro:
precisamente: dentro oggetto del blockquote nella textarea del message
corpo a caratteri - osservazioni - altro commento, nel senso d’un sopra esterno. d’un dietro. dichiarano una v a forma di: finestre: opzioni relative:
questo l’oggetto
bordo oro cristallino: puro: completo:
risposta completa: baconmonkey del clown della scimmia misanthropic
risposta incompleta: alberino hiroshima
pellicola teatro senza sapere - inaspettato
opzioni: a partire da un sospetto punto di controllo - da un punto di controllo sospetto - di sicurezza - direttamente qui
non cominciate se cominciano mirate al volto, spaccate
il senso meno il costo (grattare) la parte oro
premere a sx il dispositivo d’ingresso - potete anche rispondere a questo
a commenta b: l’azione obiettivo del metodo, della forma, del metodo
chiede una replica - un assaggio
la risposta era:
cifratura breve: ha creduto di sembrare a qualcuno dice oh ha spento tutto e ha tirato - buona musica (graziosa
condotti ad azionamento d’incertezza
di qui
arresto critico
è
la risposta era:
Pubblicato da riccardo cavallo
Etichette: roberto cavallera
Roberto Cavallera - della composizione
gli stessi lineamenti umani - un particolare ingrandito - il mutamento - uno soltanto - identico - ancor prima di saperlo - solo cornici o montature - tutto parte d’un viaggio - pensato - detto - fatto - quel quadro col pesce al centro - detto - fatto - manovre su diversi registri - parlati - a tratti - completati - fin dal titolo - scritti ancora prima di scriverli - un oggetto che tuttavia eccede come pezzo di composizione - esposizione - parlando darsi torto - lettere - incipit già scritti - corpi tirati a secco - cosa accade quando un plus valore si dissolve - offerta agonistica che specula su un meccanismo di cui l’autore è solo strumento - poi l’epilogo - per uniche straordinarie avanguardie - righe apparenti - appartenenti - semplici - tirate righe - per meccanismi interposti - sopra - il discorso - corpo estraneo di una parola di una didascalia di un altro ritratto - domanda che può essere ripetuta - pista - grafo - traccia - costretti alla chiacchiera - due pagine unite tra di loro - una parola tipo - un’ultima parola - da a fino a zoo - zu - poi - la firma - anch’essa tronca - dal suolo - da un abisso - emergono pezzi di parole da continuare all’infinito - dislocate - dissociate - disunite - sfalsate - interrompere la struttura di manutenzione del testo - un autoritratto - altra strana manifattura - inganna l’osservatore invertendo l’orientamento delle mani - in ritardo sul culmine del testo - esibirlo come altro ma senza conclusione apparente - tirato soltanto un filo a riprodurre sullo sfondo una scena una sola volta - un ritaglio - cucito - ricomposto - penetrato - come una narrazione che può svolgersi - tutto funziona - o comincia a funzionare - quasi spontaneamente - dalla manoscrittura le limitazioni del ritmo della scrittura e perfino - qui calcolata - della cancellazione - descrivere chiaramente non può bastare - dopo averlo messo in trappola - il testo - dopo avergli messo il morso - valutare l’economia dei mezzi - per esempio - amanti a parole - amati a parole - ingannati ancora - in altra lingua - fatto d’esprimere trame nel corso d’una programmatica formale - non proprio una identità - paradosso che assorbe lo spazio della voce in mezzo a mutilazioni - a testualità prive di mondi che - non di meno - riguardano l’autore - una teoria del ritratto - la forma - il chiasmo - il colore non detto non parlato - eseguito - di colpo - a blocco dentro o fuori la lingua - assomiglia ancora a un grido informe - a una protesi aggressiva destrutturata sui due lati di una linea di frattura - nel culto del ricordo le trame i tratti procedono a scosse - la mano ripiegata - la testa inclinata - le dita a sostegno d’un moto minimo - un testo senza più ombra di cosa in sé - a contatto con quello che incide - che attua ai limiti - sulle linee di struttura - di scontro
della composizione
zoo - zu - un’ultima parola - poi - testualità prive di mondi - di modi - teoria del ritratto - una sola - programmatica - formale - una didascalia - un testo - senza più ombra di cosa in sé - un particolare ingrandito - oggetto che tuttavia eccede - un autoritratto - un altro ritratto - tutto funziona - o comincia a funzionare - quasi spontaneamente - un suolo - un abisso sullo sfondo - una scena rappresa in cornici - montature - attuati i limiti su linee di struttura - di scontro - meccanismo narrante interposto - scritto ancora prima di scrivere - meccanismo a contatto di ciò che incide - unica straordinaria avanguardia - continuato all’infinito - all’epilogo - pista - grafo - traccia - ad esempio - a completare - fin dal titolo - ciò che si intende descrivere - chiaramente - ma non basta - racconto - a esecuzione d’un’offerta agonistica - speculare - non proprio un’identità - ritagliato - cucito - ricomposto - manovrato su diversi registri - con o senza - apparente - fine - ostinatamente distratti dal fumo di verbi - di nomi - esibiti come altro - lettere - incipit già scritti - limitazioni di rito - di ritmo - le dita a sostegno d’un moto minimo - la trama in corso - strana manifattura - struttura base di manutenzione - svolta - la firma anch’essa tronca - la mano ripiegata - la forma - si tira un filo - tentare - in ritardo sul vertice di un testo in altra lingua - come in quel quadro col pesce al centro - mutilazioni - il mutamento è uno soltanto - identico - a strappi - a tratti - facendo parlare dà torto - gli stessi lineamenti in ogni riga - a pezzi - espressioni di manoscrittura - si penetra - due pagine unite tra loro - domanda - ripetere la - dislocare - dissociare - disunire - sfalsare - interrompere un insieme di cui si è solo strumento - ritrattazione della scrittura - delle sue cancellazioni - calcolate a parte - trattare del colore - impossibile dire - detti due lati d’una linea di frattura - costretti alla chiacchiera - copie di corpi tirati a secco - corpi estranei d’una parola - una - tirata una riga - un’altra - apparente - valutare l’economia dei mezzi - dei pezzi - della composizione - un composto - una esposizione che - l’autore presente - accade - autore assorbente lo spazio - assorbendo lo spazio - la voce - anch’essa parte d’un viaggio - un trascorso - sul discorso tirate righe - su margini - su note - su protesi aggressive
della composizione
e se per il fatto d’esprimersi come in altra lingua - ingannando ancora - procedessero - continuassero parole - per esempio - come verrebbe valutata l’economia dei mezzi - delle limitazioni date dal ritmo - dalla scrittura - qui calcolata - e delle cancellazioni - descrivere - mettere l’autore - la trappola - dopo avergli applicato il morso - lettere - incipit già scritti - tirate righe sui margini - semplice struttura di manutenzione della manoscrittura - invertendo l’orientamento delle mani - strana manifattura che inganna l’osservatore - come pezzi d’una esposizione - testi da decodificare - lo scrivente manovri su diversi registri - su oggetti che tuttavia lo eccedono - ancora - lettore potenziale vagamente distratto dal fumo dei verbi - completare - fin dal titolo - l’insieme di parole - esemplari - di cui l’autore è solo strumento - porre una domanda - ripeterla come risposta - può essere ripetuta - domanda - che cosa accade quando un plus valore si dissolve - risposta - costringersi alla chiacchiera - autore e lettore in ritardo al culmine del testo - uniche avanguardie straordinarie - ipotesi d’un oggetto scritto prima di scrivere prima di saperlo parlare - prima di sapere aveva torto - no - quel quadro con al centro un pesce - apparente - semplice - senza meccanismi interposti - corpi di scrittura tirati a secco - corpi estranei d’un’unica parola offerta - sempre la stessa - personale agonismo della traccia scelta esibita come altro - due pagine unite tra loro - apparenti - la firma tronca - speculum - tirato soltanto un filo - suolo o abisso sullo sfondo d’una scena che emerge appena da ogni frase - a pezzi una sola volta - all’infinito - raccontati - tagliati - ritagliati - composti - ricomposti - chi scrive penetra - disloca - dissocia - disunisce - sfalsa - interrompe attraversa narrazioni - possono svolgersi solo se tutto funziona o comincia - spontaneamente - a funzionare - come forma - chiasmo - come colore - di cui è impossibile dire - sulla trama in corso - sulla programmatica formale - torta come una fune - impropria ossificazione data - identica - identificata - eseguita - di colpo - un taglio - dentro e fuori la lingua - assorbito lo spazio - la voce - informe in mezzo ad altre mutilazioni - a protesi aggressive - una testualità priva di mondi - strutturabile - no - osservato l’autore osserva i due lati d’una linea di frattura - una teoria del ritratto - dove il corpo - a contatto con ciò che incide - inciso - la testa inclinata la mano ripiegata le dita a sostegno del moto minimo del testo - senza più ombra di cosa in sé - attivata ai limiti - a linee di struttura o di scontro - solo cornici o montature anch’esse parte d’un viaggio - un ritorno - identico al prologo - una didascalia - un altro ritratto - un autoritratto - zoo - zu - un’ultima parola - poi
compost ex j.d. ex g.d.
Pubblicato da riccardo cavallo
Etichette: roberto cavallera
martedì 11 marzo 2008
Roberto Cavallera - Ev
___________________________________________
corni astrali penzolano a un palmo dal firmamento
macchine perfettibili in ritmo e verbo, a e b son capaci di passeggiare per ore, ricuciti a tratti nel percorso virtuoso dell'immaginifico cerchio del parco
accampati provvisoriamente in ombre penose, guardano fuori. dritto all’angolo sinistro del sole. con nervi che esigono di fingere (non ci sarà altra occasione) di stare
scritti con povero gesso tra graffi e ghirigori strani
a e b si lasciano andare a volo nudo, con ali puerili, penetrabili, leggere, lavate con cura. lo sciacquo stinto viene offerto a beveraggio di poveri cristi che stanno poco sotto, a sbranarsi invano
una a te, una a te, una a te. non prometto niente
i gatti invece si prendono gli avanzi. intanto i due esitano a rompere le fila gagliarde e ardite di basse elucubrazioni, di tocchi assetati di battaglie, d'imperi, di stupri brevi e sinceri
resta sui suoi passi, pesta le date che vorrebbe poter celebrare
ecc.
dominano l’orizzonte le nostre bianche valli
ecc.
l’amore, dice, e gli esercizi addominabili
parola per parola sboccano peristalsi prive di tatto
il semaforo diventa una bocca, un inferno. ci si ferma e si aspetta. qualcuno da una macchina saluta. s’attende altro oceano all’imbarco. magari. invece è quasi ora di cena. l’orchestra gira la chiavetta e la musica, toh, è sempre la stessa
tu cosa?
quando sbaglia ride
a fianco del marciapiede trascolora il cadavere d’un ratto forse disfatto forse mangiato
negli ultimi cento metri si coniugano a fatica i tempi i verbi i nervi già presi in vespri sempre più rapidi in terre maligne, subalpine, collaudatissime e perse
le ultime spese
due giri a spirale e poi la porta e poi si entra. alambicco di cubi dalle maglie strette. ancora una vertigine. costretti a mantenere un discorso mobile e intercalante pittato di rosso intorno a fosse bizantine a code di diavoli a cazzi di cane. farsi pesantemente di sante ragioni, scioglierle in monogrammi, cancellarle domani
in un fiotto spumoso di bave per il troppo parlare restano sospese altre domande che si consumano scendendo le scale (essendo stato filiforme il commiato
lingue di labbra filanti dicono ancora
appena fuori la città si ripete in un esterno notte da poco. e il faro sta lì, manco acceso, manco dove
a cabotaggio d’un altro parco, pascolo incolto, a rimembrare sedani di cosce, girandole di seni, mani dai gesti minutamente caprini, normalizzati dall’ammontare discontinuo dei regni (e delle regine
per condimento gustose risate miste a france misteriose, ostili
trovare il modo che il destino finalmente calzi a pennello
avere più ingegno, ma più caldo, e di legno, a farne, di braci, d’incandescenze raminghe
un ballabile, ancora
dormi? dormi
che qua s'accaniscono sonni tremendi, e le buone stelle si muovono lente, e sole, perché tutto il lavoro devono fare, loro. che qui s'è possibilmente ancora più lenti nei passi, e fragili nelle cuciture, a causa del troppo stare
voglia di diavolo suo tremulo, gagliardo
il baffo, l’ometto
grumi di mani vistose e nude, anche al buio, per questo è meglio tenerle altrove. auguri. dai poveri di spirito. alza le braccia, come alberi da fuoco. incantevoli. richiamerà domani
centellinati gli avvistamenti
non ancora smaltite, indegne di più affettuose cure, si vedono zarine stese al balcone. bandiere di segrete quarantene. languide vacche. fulgide balene
che qua si sta su come budda magrissimi. scodinzolano qua e là code di tenebre qualsiasi, poi basta. poco oltre s'apre un orizzonte che non si sa. a ben vedere sembra tutto storto. succedono diligenti le solite stradine, ma è il borgo intero a trapassare il petto. si finirà mai di svernare
fateli andare. fateli respirare, fategli quel che vi pare
avere altro ingegno
e altre france misteriose (ostili). belle, belle davvero
un ballabile ancora
ce ne vorrebbe un mucchio di quelle nuvole, per sapere come, come davvero piove e come davvero fa sole
e invece che si va a combinare...
l’interruzione del discorso fa parte del discorso
attraverso, sopra (continua) notte rotta dal gran sonno, finito
gira e rigira (continua) dorme su un fianco (se si alza si disfa) (proprio come se fiorisse) ma no
fino a quando le spuntano due zampine ritorte che prendono un bel ciocco e via, lo buttano al fuoco
demolito per incanto
comincia ad infettarmi. mai vista né sentita. bramata per secoli, ha preso la forma dell’averla…
fingeva da un occhio, quello nero, strizzato fino all’astinenza - a stento discorreva di cose facilmente confutabili - parlava di fare pupazzi di carta, più facili da bruciare, o qualcosa del genere - con aria ironica mi premeva sul petto: “lo sai? mi dai sui nervi
simula / simula e poi scrivi / scrivi immediatamente
i denti - per prenderla meglio - affondavano pari. sorvolò per cortesia sulla mia balbuzie improvvisa. tenevo stretta la sua piccola fronte tempestata di fulmini e saette per via d’un piccolo accidente: vi conservava inciso un ricordo: lo spense
che possa rifiorir primavera
non c’è punto migliore da cui ti possa scrutare. nel fondo nero pigio pure questo barbaro traslucido tritare nel fondo nero puro gusto barbaro di veder quel traslucido tritare nel fondo nero barbaro di quel nero traslucido tritare
insieme a tutt’un’india quanto mai sfatta e bella tanto da esclamare
a ragione dell'avere e del dare: da qui si vede tutto, pure te
ecco perché fece finta di nulla - possibilità esistita, per coincidenza, la prima
dentro corridoi bene in carne, spaziosi ed illuminati, carezzati dal divino, si bevve dritto dalle mani una rugiada presa nelle righe, nelle mani, si bevve una rugiada dritto nelle mani
qualunque dentro fosse
restano altri tre argomenti, la cenere soprattutto, dolce, mista all’olio, una parte per il trucco, un’altra per il prossimo. tuo. ultimo. come, dove interrogami venire al punto no?
adorato tuo
visto qualcosa, cannocchiale montato sul letto, nemmeno provare ad alzarsi. la situazione dell’insetto. il segmento obliquo della sedia occulta l’intero est e parte del nord, ma quando tornano
scritto: dove si arriva senza trama senza affezione senza liturgia così pregni di per vedere come
si sta davanti alle cose come per continuarle, adesso, come a riempire il resto
e tutti quant’in coro
gonfiano poi sfioriscono, appena dipinti, i belletti più atroci, ma così non ha senso, appunto
quindi fa un esempio specificando che la vita è sempre poca e che non ne basta una intera per fare tutto e farlo bene e che girare a vuoto non porta a niente, tantomeno cercare e tenere qualcosa, qualcuno, e che quella non era da considerarsi una fossa ma il bozzolo d’un magico bruco
visite5
mostrati ai tuoi pari e saggiane le reazioni, riportale in bella grafia sul morbido dei tuoi anni. poi fuggili come dal tuo e di fuggire ricordati. saranno in tanti? ti troveranno? mettili nella tua mano. disegnali come presi in cacce di ninfe, colti da giovane diana, e bellissima, trafitti da sanguigna, presi in calco di sirena. presto o domani, li aspetti. cattivissima, speri. è che il sangue s’è sfatto da un pezzo e si spreca e si dispera per non riuscire a trovare la giusta vena
da architetture sghembe spuntano figure tinte con stil vago che sguazzano, sbracano, se ne sbattono e strabattono, e scendono ancora, sbiadiscono, fratte in rughe pietose, grattate nel mezzo, poi ricucite e riseminate in terre cave, piene di margini, piene di pozze. pessimi diorami
questo fallo più blu
resta tutto da vedere, con tempo più comodo e fatuo. e più tedioso. sdrucciolo. scavato a stento da corni ritorti. spalmi creme che ti fanno più lucida, esigua. di’ come. e non ne avanzi un goccio. te ne cade un fiocco
ci son degli angeli da inne
una risicatissima artiglieria a darti il benvenuto. il primo colpo si porta via l’aria rimasta. perché non farne versi? meritevole invece di ricevere titolo e incipit con dramma al seguito. ma qui si sta stretti e non c’è da bere niente. si sta rigidi come mariani devoti. col tempo - assicurano - acquisiremo - forse - una certa gentilezza nelle pose, magari riusciremo a schiudere, magari come petali d’altre cose
presa fra figurette di legno disposte su secoli ulteriori (sembrano uno), circumnavighi la natura parziale del fosso che stonda ogni tua sostanza di appesa, ogni tua caduta, ogni sorpresa. fai in tempo a lasciare quel poco. a dirti contenta
poter restare, abitare quel tuo impianto ormai spento che ostinato non contiene che spiriti. stanno lì da anni, l’ospite avendo santità in abbondanza. dentro tengono virtù e modestie le più nere, dai bordi combusti, più neri ancora. dicono di non sapere
ne escono di tanto in tanto stirpi a perdere. le chiami per cognome. te che stai in bella mostra. qua. mediti l’ampio peristilio del tuo tormento, del tuo spavento, a vederti così improbabilmente contenta
piangi come una venere tenera e santa e con stimmate prese per poco e contempli, contempli, impenitente, l’ottusa consistenza del tempo che cuoci alla graticola con mano esperta, non fuma nemanco, nemanco uno strepito. solo un latrare di fuoco che si spegne. ai postumi. riempirti di macchie, carente in agilità e contenzione. dilettevole immobile spettacolo che poco a poco va a terminare. mezz’ora di varietà di popolo, poi t’annoi. e la poca carità si compiace ad accorrere al capezzale del tuo non so non mi va. disimpegnare gli spazi e andarsene per linee dritte, no, storte. il pubblico non ha interesse per le tue scelte (mancando quella estrema). senza interesse anche se poi, magari, lì per lì qualcosa succede. prendi diligente la forma di te che ti muovi. che ti dai per piccoli guadagni, piccoli, con salute cagionevole (microbi creditori t’assediano). il tutto recitato con vago sentimento (ancor più vago il rosso alle gote). l’ennesimo non so che, l’ennesimo chissà come. che dire? ti si negano almeno un paio di secoli al giorno. fredda come
t’accucci sfregandoti le ginocchia, da lì vien su un bel tepore. tanto da tanto che
stai tutta al principio, t’annunciano e ti presenti in bell’ordine e ben composta, deliziata dallo startene qui ancora, colonna ben rasa a poggio di spiriti più forti, contrapposti ad ogni buon, buon
l’abbondantissima selva dei piedi delle mani ecc.
vedi? qua? almeno provare (si smorzano le luci - ti ricomincio a contare
nel tempio dei puri si sta per puro transito. non è dato assistere al tuo sfarti. nemmeno toccarti. esatto, lo spirito si fa grave, e stucchevole. l’attitudine ai sensi è quella che è: manipolati e invecchiati, soprattutto fra le labbra. rinascere nel dolce refrigerio di sogni cortissimi dopo aver contato stelle dissestate, prese su come piogge al contrario
come dissetarsi a queste fonti giulive? con meraviglia con saporito tingere, ed ombre
e succhi, succhi come l’ape il fiore, presa dentro lo scarto, a ravvivarne la massa molle, ubiqua, offerta al tuo tolemaico non darti pace
qualche notte a disegnarle, brevi, un po’ rigide, magrissime. ripassati i contorni per dare spazio. imbastite tutt’intorno sode architetture e un misto di robe sbozzate con giudizio, per un più agevole trascorrerle
di come spirano lingue perdute che nominano, menano, sgravano
su un altro foglio, ricomposto a memoria, messe regole, espressioni, diagrammi, formule adatte che possano spiegare quel tingerle in pastosissimi fondi. le donano. ma di cosa, cosa? di cosa parlano? (fanno
quanto manca al prossimo movimento, seguito da gesti convenienti, preparatori
resta un occhio, torto per il troppo guardare quel che tutti sanno com’è che va, com’è che deve andare. il tutto condito con gusto inarrivabile. e per patria un canto, uno soltanto, tanto per sapere da quant’è che s’è cominciato a crepare
a seguire osservazioni del qui presente ec
dipende dalle circostanze: dove la nascita, l’infanzia, la buona creanza, per il resto, qua si mandan giù soffi ardenti, luciferi, onnifottenti. cerimonie di spreco, di pratiche basse, perpetue (mandano moltissimo odore): desiderabili ma sboccate
extra vitae
chiede ancora di te ma lo chiede come se fosse lei lo spirito da chiamare - aiutami - aiutami - chissà come sarà tutto disfatto adesso, eh? ... oggi che fa di nuovo ottobre
si taglia con poco, con sostanza men che pura. basta che si decida. invece di credere alle facili iatture sue, altrui
ne vede ancora - tornano su come punture
sicché melanconicamente veleggiano in caratteri standard scandendosi in regole universali, già sposati alla malora, spesi in storie che scendono in carmi leggeri, pronti a portare, a scialare
ritta la fede stassene
piegati in pose il più santamente rette, perpetue, botaniche, per fare d’ogni erba un fascio. e la cura è per chi, salutevole, ci curi ci prenda ci cresimi con pomate e unguenti da succare insieme a quel non so che
il gusto. sì. una cura di matematiche intelligenti e di sintassi garbate miste a molte, moltissime cose, nobili, idrauliche, monodose, non si sa come
tirate sotto stanno vene, guizzano come serpi pregne, sfilano come vecchie germanie, sordide murene, rustiche maddalene
disciplinata l’attesa, ma la bellissima non viene, la bellissima non tiene. ma la bellissima non viene, la bellissima non tiene
ancora più corto e convesso. punto primo: s’assiste soltanto. rimestati a perdere. più fondi e fessi. messi in bella vista: scendi e poi risali militando un perfido sacerdozio che ti lascia indietro puntando al basso, mirandoti beato, in scorcio, intrepido nel comprimerti, a dirotto, facendo più che altro acqua, fino ai piedi: perché s’aggrignano e si spaccano, inutile infilarli come dove
ti fai ancora più corto e stretto, preso da trappole dalle misure morbide e sapienti. nient’altro. maldicenti. vibrano, pulsano come geologie caprine, succose come gioie, tue, terrene
l’armonia con
riducendo ulteriormente il taglio. non sarà mai più così facile
palpabile e vivacissima, si presenta questa volta con alcuni pezzi in meno. tienile da parte un po’ di misericordia, e di grazia, grazia gentile e fragile, da rimettere al suo spirito moderno. inqualificabile. coprile i fori mentre ti prende e ti ricama, ché ne vorrebbe farne di più, di punti, e di croci, a periplo del tuo ammobiliarla fertile, inutile. t’accendi però in un mormorìo che imita rigido la secchezza delle fauci che dicono e non dicono: premi il due
se solo fossi più compassionevole, potresti dargliene di braccia, ma no, unisci il poco all’usura. insegnale come stare e quando e come vedere, spendersi e volere. perché ce ne vorranno pure di regole e sintassi e di schemi e di grafici per vedere se restarle
giusto quello che muove dal soffitto all’indietro (il tuo indomito idioletto): qua ci vivi e la ritagli rettamente, internamente, tutt’intorno al grasso rimasto
osservi in debito. tutto il resto farne di più ma a credito. sapere solo se è vero, se mezzo o intero. da qua non si esce di certo e la fine si programma a partire più o meno da adesso. aumenteranno il volume, la massa, la consistenza, lo spiegamento in forze di tutto un bianco giro di ultime
forma egregia e alta che passeggia
ci son altre stanze, e numero
vai, e vieni, su, affabile, e giusto, placido, dalla natura benigna, pulito, minimamente perfettibile, meritevole, senz’altro. che l’ordine regni solido e sovrano
ti tocca scendere per il latte (e il pane
entri ed esci rendendoti cara alle vecchie reliquie messe lì con cura. ti regali pure una bava di rosso alla faccia di
te la coltivi da te tutta un’asia da ammattire, candida, verdantica, mentre smacchi la chiazza di sugo bruno rimasta sul pigiama - non si vede neanche - gli dici che invece c’è e si vede benissimo, no non gli dici niente. armata d’una pietà regale (ma solo perché unica e terminabile) lo stai comunque ad ascoltare
ma da dove viene ancora quella voce? forse, se ci pensi bene
lo porteresti piano dove stanno le cose, solo dalle migliori lo porteresti, poi gli spiegheresti cosa hai fatto per averle e per quanto ancora
piccoli possedimenti, quadrati per lo più, patrie di nemici prossimi, incruenti, incruento il volo fertile di api in calore, subito prese e pigiate in crateri con su dipinte figure inespresse: ne viene un brodo da spalmare chissà dove, primordiale chissà come
si suda tutt’intorno, dal vero. con pena si scava un piccolo volto che si possiede, ripetutamente, volendo
purgatori altri, più chiari, da bersi ancora caldi, incontinenti
dicono che la luce è perenne, basta pagare: la messa in scena inestimabile
154
ti dico subito che son secoli i mesi già passati, tanto son messi male, tanto da non poter chiedere indietro nemmeno le ore i minuti i secondi, tanto da non poterti più reclamare
è quasi un anno e la luce è ancora eterna (tanto che lo imita, l’eterno). c’è ancora, non scompare, e non si spegne (tanto che lo imita, l’inferno). e c’è un freddo fatto come un inferno (tanto che lo imita, l’inverno
e con che faccia dire e ridire, presenziare per eccesso, rammentare per difetto. mandar giù paste commestibili, celesti
qua dentro ci si sta interi. misurabili. esprimibili in statica, in dinamica, in forza d’un equilibrio vano. e come ci combineremo e come ci combineranno e come ci ficcheremo e come ci ficcheranno
l’ultima cosa era i suoi occhi
l’ultima cosa sempre: non si capisce niente, ma con ordine: la penna, il foglio, il righello, per fare afriche dritte e nette, tagliarle a fette da consumare preferibilmente il
da conservare preferibilmente in
poi magari trovarne una, una maria qualsiasi che ci prenda e ci tenga per mano, ma che non prenda spavento, che non lacrimi invano
ne scorge appena la faccia, tira su il braccio, non lo vede, riprova, lo perde. più scuro dietro. prende dalla scatola la gatta, morta la sera prima, forse respira ancora, la mette sul pavimento, vede che sì, respira, solo sembra più piccola
intorpidite le gambe, non riesce a tenerle su. chiede come chiamarlo quel miracolo
chiede quale miracolo. prende a scavare una piccola fossa spuntatagli sul viso, sperando di trovare più sotto un po’ di spiaggia (fuggire per via d’acqua
più sopra stanno appoggiate alcune visioni, ne cuce assieme un paio, poi chiede: sapete scavare? poi giù, lungo vie che la vanità di quel vagare non conosce. da dentro rispondono (chiede quale dentro
in cerca di luci più chiare. si gira, tirato da spettri disposti a corolla sui fianchi
tutto lucido (sereno), si sveglia, crede di. si sveglia crede di
si va pietosamente a raccogliere, spalmare, toccare altre specie di ceneri. son croste, cortecce. si potrebbe avere bisogno di entità enigmistiche fortuite, da scoprire disegnandole, unendo i puntini, annerendo gli spazi evidenziandone le poetiche, le ferocie. niente andata, solo ritorno. piccole braccia, no gambe, no. a regolare l’asse, l’inclinazione. come se venissero avanti. il ricambio delle generazioni è presto detto, avviene senza schemi. senza diagrammi. è un produrre inconsueto, a godimento. questo menare dà tanto l’idea... presenti. a posto. basta con piani a termine, comprese le estati, compresi gl’inverni. creduto di dormire lungo l’arco a risalto delle ore, che a reggerle tutte non si poteva proprio. vagamente giallastre, pure, bruciavano gli occhi. dalla sera prima le scarpe ancora addosso, affittate per il ballo. ce n’erano parecchi, presi a intermittenza, ridotti a niente, stravisti e strasentiti (salite perché non si può più scendere). avevano, certi, un fare gentile, d’altri tempi, non parevano veri, se toccati restavano neri. irreprensibili nell’occuparsi dei turni alle danze, un altro ballo, signora? un altro ballo ancora? le scarpe stanno, adesso, sotto il letto. da tirar fuori di tanto in tanto. quando tornano s’assomigliano tutti. s’attaccano alle finestre, accecati dalla trasparenza. chiusi ad agosto. ma come. amoreggiano. hanno polsi sottilissimi. abbassata la scala si scende di sotto, tutto a posto. tutto a posto. sotto le palpebre nessuno, ancora un po’. tirate le tende, s’inizia, eccoli, stanno lì, hanno già preso posizione. hanno speso un soldo di fatica per venire. come avranno fatto a sapere che volendo costa niente. ne bastano sette. cambio. si avverte la spett.le ecc. hanno caviglie sottilissime. cambio. tolto tutto. non manca niente. qualcuno fa vedere com’è bravo a fumare la sigaretta al contrario, bruciandosi la lingua. adesso fammi le cosine. adesso. sono delle furie. durano il tempo d’una mela. certi hanno un fare gentile, d’altri tempi, appoggiano le loro cose, cominciano a parlare, ficcano in un amen, procedono per consuetudini perfette. attenti, precisi, contano i secondi. hanno colli sottilissimi, s’assomigliano, strano, se li premi alzano un braccio, ti danno la mano. figure adornabili, perse chissà dove. per chissà quale distrazione (troppo impeto, troppo impeto). chiedono, anzi dicono. sezionano diagonalmente la parte subcostale. niente. non si vede niente. forse insistendo, forse, tra resezione e riconfigurazione, tra redenzione e retrazione a evidenziare così la colonna toracofrenocelestiale. per estensione l'incisione - mirabile - rende possibile l’esposizione della parte superiore e media dalla via toracoparadisiacoperitoneale. quella parte che si sa com’è fatta. l'esposizione della colonna, sensazionale, compresa la divisione della guaina del retto, ne lasciano un pezzo, ci mettono un altro pezzo. perfetto. tutto torna. osservano. progettano un’altra serata. la invitano. hanno menti sottilissimi. cambio. non hanno braccia, ah eccole. presenti. niente. nessun pavimento. spalma un piede a terra per andare. il mio piede, diceva. anni fa conversava sofisticata dell’estate. era facile. le mancavano troppi minuti per concludere... mancava troppo per fissare un punto, per lasciar stare. aveva un collo sottilissimo. tanto da venir meno. alzatele le gambe favorisce il coso, il sangue... fa venire meglio il coso, il respiro. vicina a cosa ormai. si torna. cambio. prescritto un mangiare bianco che non può che nauseare. in parte carnivora. per bisogno. finito il tempo. lo spazio comprimeva inutilmente le strutture, le fibre, aveva una specie di peso che distraeva da ogni rotta, immobile, misurata a palmi. nota: tutto regolare. esposta da ore, da troppo, come un amoreggiare valgo, ha caviglie sottilissime. tanto da averne di meno. piuttosto altre da tenere. invece niente
per dispetto soffiano sicilie intere di venti e di caldi raffermi, lucidi, ennesimi, perenni. insieme respiri un delicato intreccio di pesti candite ai nervi. ne fai un tabacco che profuma come se t’avessi
hai una cera...
da lontano s’allungano terre improprie, raccolte nell’angolo dell’occhio. le tieni per farmele leggere, prive di grazie, veloci. le mescolo nel mio piccolo reame, con te, piccola da farmi fame
qua e là corpi che stanno, che fanno e non fanno. quasi nuovi. han tutti le lune storte, solstizie, scritti con diligenza, a grumi, formano figure, dove la luce si dilata e viene meno, quasi nel mezzo
vanno di fretta. guardi come galleggiano come fanno
membra tenebre stese in bassi negrissimi piaceri, strette in palinsesti lombrosi e stinti replicati in giaculatorie in fiocchi davvero leggeri e gravi
quindi il saluto per mezzo d’una bocca appena schiusa
se senti grattare è il gatto, dici, bisbigli
son carabattole, folgori, i pianeti dei tuoi corpi, spinti fin dentro l’iride residua (storta perché discontinua, vuota perché puoi
mi dai da nascere quel poco, quel che basta
sospendo riavvio arresto
canto d’invito a bere mancamenti
vittima d’una voce minuta - comunicata - a riflettere sulla salma graziosa che viene su - a perdere l’atto il limite la parte dura e crudele del ciclo ordinario del cielo - del tempo - a svanire rapido - esatto - sistema ordinato - sistema di cose che tornano che resistono - che tornano - un sonno da manuale - spazio senza schermo dove muoversi in storie in pitture date a voce - vestite - si direbbe - come donnine a modo - inghiottite in brani sconnessi di
da lassù farle più belle
predicare a giusto titolo - rifarsi a ipotesi impossibili - a più infimi teatri
tutti maestri tutti presi in una specie d’affinità prossima al peggio - pallide e quiete anime tutte d’un pezzo - niente resto
dicono c’è posto solo per me
presi a brani a parole d’ordine insieme a mille altre come a tenere su ossa carni bocche teste - tenuti invece con la pellicola muta di movimenti men che corretti - perfezionati dalla stessa immagine del tempo speso a darsi farsi rifarsi sfarsi
in ragione dell’elevato processo dinamico dell’aria nell’aria sta un luogo - una fistola per tanto dire
e sovrano riflettere
ma certo... restate, restate per un altro caffè ancora
- continua
a sostegno di sociologie prive di concetto ecc forme comuni d’un controllo d’una disciplina d’un limite quasi banale ecc - non fermate gli elementi moltiplicatene il mutamento il cinematografico moto proprio - girata - filmata all’infinito la vocazione all’infinito - montata e rimontata fino a farne tutt’altro -
la camera lo schermo la sala
presi da debolezze da fami da espressioni inutili da una chiusura quasi voi quasi
stupefacente ritmo cieco di nutrimenti brevi - fessi - per più prodigiose carburazioni
identica - uguale all’ultimo pensiero - adatta - mediocre - permanente - identica la piega della carta del libro identico il libro - ché si sa com’è che va com’è che non va a finire
- piuttosto un romanzo mediocre - tutta invenzione tutta da un’altra parte - tutt’altro - piuttosto altre robe tipo voglio dire che voglio dire come che per come per dire come voglio dire
ecco s’apre la piega del quadro - il quadro - la tavola d’un più alto pranzare - spazio ce n’è - si tratta di mettere i personaggi più distanti - metterli a tiro d’un rinascimento a caso regolato dal proprio - arcano - umanissimo - bagatto - giocato a carte - smazzato da insalutato baro
...ah quell’epoca e tutta quell’aurea prospettiva...
nozioni base - domanda - cos’è - solo sfiorati da altre cose già prese nel campo nudo d’una decisione presa ma perduta - perché presa e maltenuta - gran scena dell’incontro d’un uomo con la propria caduta - è che l’hanno lasciato andare - dice - per risultanza d’una somma strana - dice - è che è il buon dio che comanda - dice - che è per far algebre più celesti - e più celesti ancora farne le grammatiche
memoria delle barche da oblio (a b
lui che ha finito, adesso aspetta
sì, ma prima, prima
un'informazione, un insieme di parole (loro l’ordine). nel luogo apposito si declinano termini a coniugare altri termini. in cerchi fatti non da mani umane ma
correttamente comunicati. si dice ciò che noi
passo obbligato. si crede. stesso passo. prima elevazione
contemporaneamente alla terra. si vede. b prende qualcosa, inserisce qualcosa, sembra qualcosa. dice è per provare. provare che
era nell’aria che parlava, parlava
dove sarebbe bene arrivare e andare
fa poi il punto riguardo un certo numero di questioni da risolvere. le trova in uno stato pessimo
sa di esserci stata molto e, confessa, piacevolmente, in un certo luogo. vorrebbe specificare quale ma ciò di cui parla corrisponde a un’improvvisa discesa, o meglio, caduta. eppure non si dà pace. irriducibile a ogni combinazione o ipotesi per
peso dei gravi. finisce di dire. sarà che, per forza
guarda, l’unica sarebbe la separazione del vedere dallo stare ma non il sonoro, il sonoro proprio no. e non ci sarà trama che possa t
per quanto riguarda il discorso, il sonoro, una voce a proposito di chissà cosa, che allo stesso tempo parla e che allo stesso tempo vede un’altra cosa a qualche altra cosa simile a ciò di cui poi si parlerà ancora di qualcosa ancora di un’altra cosa ad un’altra cosa simile a
farne una separazione no, una distinzione, forse. ma il sonoro... per forza, a garantirne la separazione
ma come si fa non lo dice
Pubblicato da riccardo cavallo
Etichette: roberto cavallera
domenica 9 marzo 2008
Roberto Cavallera-ev
roberto cavallera
_______________________________________________________
ev
__________________________________________
passeggiata con persona distratta
gabogan
writ
visite
flora e fauna
combinato disposto
prima stagnazione
extra vitae
dalla vita pensata di a
dalla vita pensata di b
misurazione aria
et caeteris spiritibus
phantasmautomaton
solo
accordion
canto d’invito a bere mancamenti
memoria delle barche da oblio
passeggiata con persona distratta
corni astrali penzolano a un palmo dal firmamento
macchine perfettibili in ritmo e verbo, a e b son capaci di passeggiare per ore, ricuciti a tratti nel percorso virtuoso dell'immaginifico cerchio del parco
accampati provvisoriamente in ombre penose, guardano fuori. dritto all’angolo sinistro del sole. con nervi che esigono di fingere (non ci sarà altra occasione) di stare
scritti con povero gesso tra graffi e ghirigori strani
a e b si lasciano andare a volo nudo, con ali puerili, penetrabili, leggere, lavate con cura. lo sciacquo stinto viene offerto a beveraggio di poveri cristi che stanno poco sotto, a sbranarsi invano
una a te, una a te, una a te. non prometto niente
i gatti invece si prendono gli avanzi. intanto i due esitano a rompere le fila gagliarde e ardite di basse elucubrazioni, di tocchi assetati di battaglie, d'imperi, di stupri brevi e sinceri
resta sui suoi passi, pesta le date che vorrebbe poter celebrare
ecc.
dominano l’orizzonte le nostre bianche valli
ecc.
l’amore, dice, e gli esercizi addominabili
parola per parola sboccano peristalsi prive di tatto
il semaforo diventa una bocca, un inferno. ci si ferma e si aspetta. qualcuno da una macchina saluta. s’attende altro oceano all’imbarco. magari. invece è quasi ora di cena. l’orchestra gira la chiavetta e la musica, toh, è sempre la stessa
tu cosa?
quando sbaglia ride
a fianco del marciapiede trascolora il cadavere d’un ratto forse disfatto forse mangiato
negli ultimi cento metri si coniugano a fatica i tempi i verbi i nervi già presi in vespri sempre più rapidi in terre maligne, subalpine, collaudatissime e perse
le ultime spese
due giri a spirale e poi la porta e poi si entra. alambicco di cubi dalle maglie strette. ancora una vertigine. costretti a mantenere un discorso mobile e intercalante pittato di rosso intorno a fosse bizantine a code di diavoli a cazzi di cane. farsi pesantemente di sante ragioni, scioglierle in monogrammi, cancellarle domani
in un fiotto spumoso di bave per il troppo parlare restano sospese altre domande che si consumano scendendo le scale (essendo stato filiforme il commiato
lingue di labbra filanti dicono ancora
appena fuori la città si ripete in un esterno notte da poco. e il faro sta lì, manco acceso, manco dove
a cabotaggio d’un altro parco, pascolo incolto, a rimembrare sedani di cosce, girandole di seni, mani dai gesti minutamente caprini, normalizzati dall’ammontare discontinuo dei regni (e delle regine
per condimento gustose risate miste a france misteriose, ostili
trovare il modo che il destino finalmente calzi a pennello
avere più ingegno, ma più caldo, e di legno, a farne, di braci, d’incandescenze raminghe
un ballabile, ancora
dormi? dormi
che qua s'accaniscono sonni tremendi, e le buone stelle si muovono lente, e sole, perché tutto il lavoro devono fare, loro. che qui s'è possibilmente ancora più lenti nei passi, e fragili nelle cuciture, a causa del troppo stare
voglia di diavolo suo tremulo, gagliardo
il baffo, l’ometto
grumi di mani vistose e nude, anche al buio, per questo è meglio tenerle altrove. auguri. dai poveri di spirito. alza le braccia, come alberi da fuoco. incantevoli. richiamerà domani
centellinati gli avvistamenti
non ancora smaltite, indegne di più affettuose cure, si vedono zarine stese al balcone. bandiere di segrete quarantene. languide vacche. fulgide balene
che qua si sta su come budda magrissimi. scodinzolano qua e là code di tenebre qualsiasi, poi basta. poco oltre s'apre un orizzonte che non si sa. a ben vedere sembra tutto storto. succedono diligenti le solite stradine, ma è il borgo intero a trapassare il petto. si finirà mai di svernare
fateli andare. fateli respirare, fategli quel che vi pare
avere altro ingegno
e altre france misteriose (ostili). belle, belle davvero
un ballabile ancora
gabogan
dal tuo albero fai crescere foglie senza ritegno, non ti costa proprio niente farle spuntare una dopo l'altra, fino a coprire metà del foglio. fai nuvole che spruzzano poche (ma significative) gocce. ci metti anche il sole, un castello e due sposi, poi a destra due fiori e più su un dirigibile che tocca la punta dell'unica montagna. poi scrivi in blu, sopra la nuvola: per mamma
ce ne vorrebbe un mucchio di quelle nuvole, per sapere come, come davvero piove e come davvero fa sole
writ
si recitano a filo continuo robe uniche e antichissime, distribuite in parti eguali tra terre mobili, cieli postumi, paradisi prensili. tutto previsto, compreso il finale. storie raccontate a brani, sbranate da cani. tanto che niente parrebbe da ridere. da dividere. solo sviluppi di trame vagamente tristi pronunciate con dizione incerta. qui non si muore mai. è solo prosa
e invece che si va a combinare...
l’interruzione del discorso fa parte del discorso
attraverso, sopra (continua) notte rotta dal gran sonno, finito
gira e rigira (continua) dorme su un fianco (se si alza si disfa) (proprio come se fiorisse) ma no
fino a quando le spuntano due zampine ritorte che prendono un bel ciocco e via, lo buttano al fuoco
demolito per incanto
comincia ad infettarmi. mai vista né sentita. bramata per secoli, ha preso la forma dell’averla…
fingeva da un occhio, quello nero, strizzato fino all’astinenza - a stento discorreva di cose facilmente confutabili - parlava di fare pupazzi di carta, più facili da bruciare, o qualcosa del genere - con aria ironica mi premeva sul petto: “lo sai? mi dai sui nervi
simula / simula e poi scrivi / scrivi immediatamente
i denti - per prenderla meglio - affondavano pari. sorvolò per cortesia sulla mia balbuzie improvvisa. tenevo stretta la sua piccola fronte tempestata di fulmini e saette per via d’un piccolo accidente: vi conservava inciso un ricordo: lo spense
che possa rifiorir primavera
non c’è punto migliore da cui ti possa scrutare. nel fondo nero pigio pure questo barbaro traslucido tritare nel fondo nero puro gusto barbaro di veder quel traslucido tritare nel fondo nero barbaro di quel nero traslucido tritare
insieme a tutt’un’india quanto mai sfatta e bella tanto da esclamare
a ragione dell'avere e del dare: da qui si vede tutto, pure te
ecco perché fece finta di nulla - possibilità esistita, per coincidenza, la prima
dentro corridoi bene in carne, spaziosi ed illuminati, carezzati dal divino, si bevve dritto dalle mani una rugiada presa nelle righe, nelle mani, si bevve una rugiada dritto nelle mani
qualunque dentro fosse
restano altri tre argomenti, la cenere soprattutto, dolce, mista all’olio, una parte per il trucco, un’altra per il prossimo. tuo. ultimo. come, dove interrogami venire al punto no?
adorato tuo
visite1
tramonto esp
visto qualcosa, cannocchiale montato sul letto, nemmeno provare ad alzarsi. la situazione dell’insetto. il segmento obliquo della sedia occulta l’intero est e parte del nord, ma quando tornano
scritto: dove si arriva senza trama senza affezione senza liturgia così pregni di per vedere come
si sta davanti alle cose come per continuarle, adesso, come a riempire il resto
e tutti quant’in coro
gonfiano poi sfioriscono, appena dipinti, i belletti più atroci, ma così non ha senso, appunto
visite2
mai vista prima. molto gentile. domanda, o ribadisce (non si capisce): in terra requiescat. non si sente niente. non si sente. non si sente niente. tutto bene tutto bene, le si risponde. che pallido che è, pallido - afferma, o domanda - le mie anime stanno lì sotto, ci porto sempre i fiori - a tutti e due - si faccia vedere più spesso, morire è sempre brutto neh? qua di sera fa più fresco che fuori
quindi fa un esempio specificando che la vita è sempre poca e che non ne basta una intera per fare tutto e farlo bene e che girare a vuoto non porta a niente, tantomeno cercare e tenere qualcosa, qualcuno, e che quella non era da considerarsi una fossa ma il bozzolo d’un magico bruco
visite3
mostra alcune foto, seduta nel suo petit foyer speculativo, le conta con precisione senza però riconoscerle, credendo di vederle sparire poco a poco. sorpresa da quella prodigiosa consunzione, ne chiede delle altre, ma questa volta promette di non contarle - che poi si moltiplicano - non vede che luce che c’era quando le ho fatte? com’è che scompaiono e chi sono quelli lì? il tempo davvero invece non basta. ma avanza. per pura convenienza. che fare? rifletterci? no. son solo quadretti, prigioni scese a contornare cadaveri definitivamente persi. saranno lì da quanto? sta per iniziare il suo secondo atto quando le dicono si sposti per favore, c’è altra gente che vorrebbe consumare. sicché quel corpo di giovane donna viene a perdere del tutto i propri (già tenui) sensi e rappresa nella cronaca spicciola di quel che capita, capita: sviene in rapida successione
visite4
sta seduta su cose scritte, su un fuoco di mosche, precisa, prese da gerusalemmi miserrime e brune, cilestri. ne prende qualcuna e le manda giù, una ad una, bagnandone le ali, premendole al palato con decisione ma senza violenza. senza rancore
visite5
si ferma, aspetta che il cane la riporti indietro. lo chiama, ma è troppo lontano e non ne ricorda il nome
flora e fauna
quel che è fatto è fatto. eppure ancora stanno, ubique, fabbriche torride di delizie, di scienze, di pratiche scemenze. da tanta origine tanto peggio. eppure ancora stanno preziose, ancora, credenze con sopra ninnoli strambi, superni minuscoli tritacarni
mostrati ai tuoi pari e saggiane le reazioni, riportale in bella grafia sul morbido dei tuoi anni. poi fuggili come dal tuo e di fuggire ricordati. saranno in tanti? ti troveranno? mettili nella tua mano. disegnali come presi in cacce di ninfe, colti da giovane diana, e bellissima, trafitti da sanguigna, presi in calco di sirena. presto o domani, li aspetti. cattivissima, speri. è che il sangue s’è sfatto da un pezzo e si spreca e si dispera per non riuscire a trovare la giusta vena
da architetture sghembe spuntano figure tinte con stil vago che sguazzano, sbracano, se ne sbattono e strabattono, e scendono ancora, sbiadiscono, fratte in rughe pietose, grattate nel mezzo, poi ricucite e riseminate in terre cave, piene di margini, piene di pozze. pessimi diorami
questo fallo più blu
resta tutto da vedere, con tempo più comodo e fatuo. e più tedioso. sdrucciolo. scavato a stento da corni ritorti. spalmi creme che ti fanno più lucida, esigua. di’ come. e non ne avanzi un goccio. te ne cade un fiocco
ci son degli angeli da inne
una risicatissima artiglieria a darti il benvenuto. il primo colpo si porta via l’aria rimasta. perché non farne versi? meritevole invece di ricevere titolo e incipit con dramma al seguito. ma qui si sta stretti e non c’è da bere niente. si sta rigidi come mariani devoti. col tempo - assicurano - acquisiremo - forse - una certa gentilezza nelle pose, magari riusciremo a schiudere, magari come petali d’altre cose
presa fra figurette di legno disposte su secoli ulteriori (sembrano uno), circumnavighi la natura parziale del fosso che stonda ogni tua sostanza di appesa, ogni tua caduta, ogni sorpresa. fai in tempo a lasciare quel poco. a dirti contenta
poter restare, abitare quel tuo impianto ormai spento che ostinato non contiene che spiriti. stanno lì da anni, l’ospite avendo santità in abbondanza. dentro tengono virtù e modestie le più nere, dai bordi combusti, più neri ancora. dicono di non sapere
combinato disposto
ne escono di tanto in tanto stirpi a perdere. le chiami per cognome. te che stai in bella mostra. qua. mediti l’ampio peristilio del tuo tormento, del tuo spavento, a vederti così improbabilmente contenta
piangi come una venere tenera e santa e con stimmate prese per poco e contempli, contempli, impenitente, l’ottusa consistenza del tempo che cuoci alla graticola con mano esperta, non fuma nemanco, nemanco uno strepito. solo un latrare di fuoco che si spegne. ai postumi. riempirti di macchie, carente in agilità e contenzione. dilettevole immobile spettacolo che poco a poco va a terminare. mezz’ora di varietà di popolo, poi t’annoi. e la poca carità si compiace ad accorrere al capezzale del tuo non so non mi va. disimpegnare gli spazi e andarsene per linee dritte, no, storte. il pubblico non ha interesse per le tue scelte (mancando quella estrema). senza interesse anche se poi, magari, lì per lì qualcosa succede. prendi diligente la forma di te che ti muovi. che ti dai per piccoli guadagni, piccoli, con salute cagionevole (microbi creditori t’assediano). il tutto recitato con vago sentimento (ancor più vago il rosso alle gote). l’ennesimo non so che, l’ennesimo chissà come. che dire? ti si negano almeno un paio di secoli al giorno. fredda come
t’accucci sfregandoti le ginocchia, da lì vien su un bel tepore. tanto da tanto che
stai tutta al principio, t’annunciano e ti presenti in bell’ordine e ben composta, deliziata dallo startene qui ancora, colonna ben rasa a poggio di spiriti più forti, contrapposti ad ogni buon, buon
l’abbondantissima selva dei piedi delle mani ecc.
vedi? qua? almeno provare (si smorzano le luci - ti ricomincio a contare
nel tempio dei puri si sta per puro transito. non è dato assistere al tuo sfarti. nemmeno toccarti. esatto, lo spirito si fa grave, e stucchevole. l’attitudine ai sensi è quella che è: manipolati e invecchiati, soprattutto fra le labbra. rinascere nel dolce refrigerio di sogni cortissimi dopo aver contato stelle dissestate, prese su come piogge al contrario
come dissetarsi a queste fonti giulive? con meraviglia con saporito tingere, ed ombre
e succhi, succhi come l’ape il fiore, presa dentro lo scarto, a ravvivarne la massa molle, ubiqua, offerta al tuo tolemaico non darti pace
prima stagnazione
bramate a stento altre fiandre di grembi piatti come perfettissimi soli, come cieli beati, quasi al centro
qualche notte a disegnarle, brevi, un po’ rigide, magrissime. ripassati i contorni per dare spazio. imbastite tutt’intorno sode architetture e un misto di robe sbozzate con giudizio, per un più agevole trascorrerle
di come spirano lingue perdute che nominano, menano, sgravano
su un altro foglio, ricomposto a memoria, messe regole, espressioni, diagrammi, formule adatte che possano spiegare quel tingerle in pastosissimi fondi. le donano. ma di cosa, cosa? di cosa parlano? (fanno
quanto manca al prossimo movimento, seguito da gesti convenienti, preparatori
resta un occhio, torto per il troppo guardare quel che tutti sanno com’è che va, com’è che deve andare. il tutto condito con gusto inarrivabile. e per patria un canto, uno soltanto, tanto per sapere da quant’è che s’è cominciato a crepare
a seguire osservazioni del qui presente ec
dipende dalle circostanze: dove la nascita, l’infanzia, la buona creanza, per il resto, qua si mandan giù soffi ardenti, luciferi, onnifottenti. cerimonie di spreco, di pratiche basse, perpetue (mandano moltissimo odore): desiderabili ma sboccate
extra vitae
chiede ancora di te ma lo chiede come se fosse lei lo spirito da chiamare - aiutami - aiutami - chissà come sarà tutto disfatto adesso, eh? ... oggi che fa di nuovo ottobre
si taglia con poco, con sostanza men che pura. basta che si decida. invece di credere alle facili iatture sue, altrui
ne vede ancora - tornano su come punture
extra vitae
che invidia quei begl’intrecci di corpi correttissimi esercitati da ingegni supremi sinceri tremendi. s’accalcano si danno senza pace, pieni di fame, finiti da un pezzo. cosi così duri così veri. lavori in pelle finissima, quasi che non si riesce a trapassarli, se ne stanno lì a penzolare, misurandosi, quei poveri, in divine tubature
sicché melanconicamente veleggiano in caratteri standard scandendosi in regole universali, già sposati alla malora, spesi in storie che scendono in carmi leggeri, pronti a portare, a scialare
ritta la fede stassene
piegati in pose il più santamente rette, perpetue, botaniche, per fare d’ogni erba un fascio. e la cura è per chi, salutevole, ci curi ci prenda ci cresimi con pomate e unguenti da succare insieme a quel non so che
il gusto. sì. una cura di matematiche intelligenti e di sintassi garbate miste a molte, moltissime cose, nobili, idrauliche, monodose, non si sa come
extra vitae
scorrono abbondanti facce amate, santemarie frementi, tirate su angoli di cavità sporgenti (cubite) (sature) (onnipossenti
tirate sotto stanno vene, guizzano come serpi pregne, sfilano come vecchie germanie, sordide murene, rustiche maddalene
disciplinata l’attesa, ma la bellissima non viene, la bellissima non tiene. ma la bellissima non viene, la bellissima non tiene
dalla vita pensata di a
ancora più corto e convesso. punto primo: s’assiste soltanto. rimestati a perdere. più fondi e fessi. messi in bella vista: scendi e poi risali militando un perfido sacerdozio che ti lascia indietro puntando al basso, mirandoti beato, in scorcio, intrepido nel comprimerti, a dirotto, facendo più che altro acqua, fino ai piedi: perché s’aggrignano e si spaccano, inutile infilarli come dove
ti fai ancora più corto e stretto, preso da trappole dalle misure morbide e sapienti. nient’altro. maldicenti. vibrano, pulsano come geologie caprine, succose come gioie, tue, terrene
l’armonia con
riducendo ulteriormente il taglio. non sarà mai più così facile
palpabile e vivacissima, si presenta questa volta con alcuni pezzi in meno. tienile da parte un po’ di misericordia, e di grazia, grazia gentile e fragile, da rimettere al suo spirito moderno. inqualificabile. coprile i fori mentre ti prende e ti ricama, ché ne vorrebbe farne di più, di punti, e di croci, a periplo del tuo ammobiliarla fertile, inutile. t’accendi però in un mormorìo che imita rigido la secchezza delle fauci che dicono e non dicono: premi il due
se solo fossi più compassionevole, potresti dargliene di braccia, ma no, unisci il poco all’usura. insegnale come stare e quando e come vedere, spendersi e volere. perché ce ne vorranno pure di regole e sintassi e di schemi e di grafici per vedere se restarle
giusto quello che muove dal soffitto all’indietro (il tuo indomito idioletto): qua ci vivi e la ritagli rettamente, internamente, tutt’intorno al grasso rimasto
osservi in debito. tutto il resto farne di più ma a credito. sapere solo se è vero, se mezzo o intero. da qua non si esce di certo e la fine si programma a partire più o meno da adesso. aumenteranno il volume, la massa, la consistenza, lo spiegamento in forze di tutto un bianco giro di ultime
forma egregia e alta che passeggia
ci son altre stanze, e numero
vai, e vieni, su, affabile, e giusto, placido, dalla natura benigna, pulito, minimamente perfettibile, meritevole, senz’altro. che l’ordine regni solido e sovrano
ti tocca scendere per il latte (e il pane
dalla vita pensata di b
di fatta liscia e corta il tuo piede, che ammiri, se messo in giusta prospettiva, piegato all’indietro (ne imiti il dipingerlo). a volte gli fai tutto un teatrino, segretissimo, te lo guardi e dici toh, ci metto una calza
entri ed esci rendendoti cara alle vecchie reliquie messe lì con cura. ti regali pure una bava di rosso alla faccia di
te la coltivi da te tutta un’asia da ammattire, candida, verdantica, mentre smacchi la chiazza di sugo bruno rimasta sul pigiama - non si vede neanche - gli dici che invece c’è e si vede benissimo, no non gli dici niente. armata d’una pietà regale (ma solo perché unica e terminabile) lo stai comunque ad ascoltare
ma da dove viene ancora quella voce? forse, se ci pensi bene
lo porteresti piano dove stanno le cose, solo dalle migliori lo porteresti, poi gli spiegheresti cosa hai fatto per averle e per quanto ancora
misurazione aria
neri da schifo sbaragliano i rossi e i bianchi
piccoli possedimenti, quadrati per lo più, patrie di nemici prossimi, incruenti, incruento il volo fertile di api in calore, subito prese e pigiate in crateri con su dipinte figure inespresse: ne viene un brodo da spalmare chissà dove, primordiale chissà come
si suda tutt’intorno, dal vero. con pena si scava un piccolo volto che si possiede, ripetutamente, volendo
purgatori altri, più chiari, da bersi ancora caldi, incontinenti
dicono che la luce è perenne, basta pagare: la messa in scena inestimabile
154
ti dico subito che son secoli i mesi già passati, tanto son messi male, tanto da non poter chiedere indietro nemmeno le ore i minuti i secondi, tanto da non poterti più reclamare
è quasi un anno e la luce è ancora eterna (tanto che lo imita, l’eterno). c’è ancora, non scompare, e non si spegne (tanto che lo imita, l’inferno). e c’è un freddo fatto come un inferno (tanto che lo imita, l’inverno
e con che faccia dire e ridire, presenziare per eccesso, rammentare per difetto. mandar giù paste commestibili, celesti
qua dentro ci si sta interi. misurabili. esprimibili in statica, in dinamica, in forza d’un equilibrio vano. e come ci combineremo e come ci combineranno e come ci ficcheremo e come ci ficcheranno
l’ultima cosa era i suoi occhi
l’ultima cosa sempre: non si capisce niente, ma con ordine: la penna, il foglio, il righello, per fare afriche dritte e nette, tagliarle a fette da consumare preferibilmente il
da conservare preferibilmente in
poi magari trovarne una, una maria qualsiasi che ci prenda e ci tenga per mano, ma che non prenda spavento, che non lacrimi invano
et caeteris spiritibus
a distanza. fatto dentro d’altro vapore. si pensa. avanza e crede. chiede: da tanto nero ne venga un chiaro. non si spiega, avrebbe preferito
ne scorge appena la faccia, tira su il braccio, non lo vede, riprova, lo perde. più scuro dietro. prende dalla scatola la gatta, morta la sera prima, forse respira ancora, la mette sul pavimento, vede che sì, respira, solo sembra più piccola
intorpidite le gambe, non riesce a tenerle su. chiede come chiamarlo quel miracolo
chiede quale miracolo. prende a scavare una piccola fossa spuntatagli sul viso, sperando di trovare più sotto un po’ di spiaggia (fuggire per via d’acqua
più sopra stanno appoggiate alcune visioni, ne cuce assieme un paio, poi chiede: sapete scavare? poi giù, lungo vie che la vanità di quel vagare non conosce. da dentro rispondono (chiede quale dentro
in cerca di luci più chiare. si gira, tirato da spettri disposti a corolla sui fianchi
tutto lucido (sereno), si sveglia, crede di. si sveglia crede di
phantasmautomaton
chiamare senza separare senza vedere (non capisce). scesa in tenerezze sbozzate con tratti veloci (uno strazio, un soprassalto). ogni notte un battesimo (scivolano senza slancio calze messe ad asciugare: ad altre, più preste toelette). colta da un momento d’immaginazione grida labbra santo crema. si corica, vestita come da un qualche fuoco, lo sente vibrare, lo sente pieno, ne indovina l’accento, apre le porte, entra un poco d’aria. di suo non ha niente, perde di continuo, prega confusamente a divinità rigorosamente uniche, solo prime, altissime. convinta che sappiano qualcosa. qualcosa le cammina sulla fronte, chiude le porte. sorpresa da uno spirito nobile, gli dice il suo nome, precisandone l’origine. è il nome d’un santo femmina. lo spirito s’allontana, poi ritorna, le prende la mano, ha un accenno di volto, le chiede come si chiama. fa finta di prenderla e tenerla. prego con pensieri i più teneri. prego venuto il termine. era già, non sa bene, prende i ferri, fa coperte per l’inverno. chiede altri pezzi, supplicando. chiede della sua anima, del perché tutto quel freddo, un eccesso, uno sbaglio. si prepara aspetta. apre le porte, credendo di svuotarle, sempre piene, aperte, interne. percorre la stanza, come avesse tempo, si ferma, si tiene le mani, stanca, accende la luce. prende cose che separa, sfila, ne fa lane, poi maglie, nastri, fa che nulla avanzi, avverte chiara la risposta
solo
un sostenere ruvido, inutile, si sa bene, c’è, tutto compreso, non si sbaglia. vorrebbero lo rifacesse. non lo ripete. non lo riprende. il luogo, il volo, piccoli orchi bagnati d’oro, scendono, si posano, galleggiano, li lascia galleggiare. non pericolosi, ma indovinarne la causa. la struttura. perso un giorno per questo. depositata, sedimentata su. precisamente, prenderne qualcuno, uno si muove, e quell’altro. domani li vedrà meglio. previsto sole. intanto si dividono e si distribuiscono tutt’intorno. aspettano che passi. credono. vedono. si nascondono. cominciano ad avanzare protetti da una loro ombra segreta. hanno cominciato. si muovono. cauti. caute figure. come sensi. entrano, scendono. presenti. chiuderli. abbandonarli. abbandonare ogni posizione. ogni commercio. sistemare conversazioni. usarle. coprirle. una sbordatura rivela l’inizio. immangiabile. presenti stanze, una addirittura aperta. si grida in un panorama lucido, per dispetto. spingere e basta. solo per chi e per quale risveglio. si dorme tutti. cosa sia successo è presto detto
si va pietosamente a raccogliere, spalmare, toccare altre specie di ceneri. son croste, cortecce. si potrebbe avere bisogno di entità enigmistiche fortuite, da scoprire disegnandole, unendo i puntini, annerendo gli spazi evidenziandone le poetiche, le ferocie. niente andata, solo ritorno. piccole braccia, no gambe, no. a regolare l’asse, l’inclinazione. come se venissero avanti. il ricambio delle generazioni è presto detto, avviene senza schemi. senza diagrammi. è un produrre inconsueto, a godimento. questo menare dà tanto l’idea... presenti. a posto. basta con piani a termine, comprese le estati, compresi gl’inverni. creduto di dormire lungo l’arco a risalto delle ore, che a reggerle tutte non si poteva proprio. vagamente giallastre, pure, bruciavano gli occhi. dalla sera prima le scarpe ancora addosso, affittate per il ballo. ce n’erano parecchi, presi a intermittenza, ridotti a niente, stravisti e strasentiti (salite perché non si può più scendere). avevano, certi, un fare gentile, d’altri tempi, non parevano veri, se toccati restavano neri. irreprensibili nell’occuparsi dei turni alle danze, un altro ballo, signora? un altro ballo ancora? le scarpe stanno, adesso, sotto il letto. da tirar fuori di tanto in tanto. quando tornano s’assomigliano tutti. s’attaccano alle finestre, accecati dalla trasparenza. chiusi ad agosto. ma come. amoreggiano. hanno polsi sottilissimi. abbassata la scala si scende di sotto, tutto a posto. tutto a posto. sotto le palpebre nessuno, ancora un po’. tirate le tende, s’inizia, eccoli, stanno lì, hanno già preso posizione. hanno speso un soldo di fatica per venire. come avranno fatto a sapere che volendo costa niente. ne bastano sette. cambio. si avverte la spett.le ecc. hanno caviglie sottilissime. cambio. tolto tutto. non manca niente. qualcuno fa vedere com’è bravo a fumare la sigaretta al contrario, bruciandosi la lingua. adesso fammi le cosine. adesso. sono delle furie. durano il tempo d’una mela. certi hanno un fare gentile, d’altri tempi, appoggiano le loro cose, cominciano a parlare, ficcano in un amen, procedono per consuetudini perfette. attenti, precisi, contano i secondi. hanno colli sottilissimi, s’assomigliano, strano, se li premi alzano un braccio, ti danno la mano. figure adornabili, perse chissà dove. per chissà quale distrazione (troppo impeto, troppo impeto). chiedono, anzi dicono. sezionano diagonalmente la parte subcostale. niente. non si vede niente. forse insistendo, forse, tra resezione e riconfigurazione, tra redenzione e retrazione a evidenziare così la colonna toracofrenocelestiale. per estensione l'incisione - mirabile - rende possibile l’esposizione della parte superiore e media dalla via toracoparadisiacoperitoneale. quella parte che si sa com’è fatta. l'esposizione della colonna, sensazionale, compresa la divisione della guaina del retto, ne lasciano un pezzo, ci mettono un altro pezzo. perfetto. tutto torna. osservano. progettano un’altra serata. la invitano. hanno menti sottilissimi. cambio. non hanno braccia, ah eccole. presenti. niente. nessun pavimento. spalma un piede a terra per andare. il mio piede, diceva. anni fa conversava sofisticata dell’estate. era facile. le mancavano troppi minuti per concludere... mancava troppo per fissare un punto, per lasciar stare. aveva un collo sottilissimo. tanto da venir meno. alzatele le gambe favorisce il coso, il sangue... fa venire meglio il coso, il respiro. vicina a cosa ormai. si torna. cambio. prescritto un mangiare bianco che non può che nauseare. in parte carnivora. per bisogno. finito il tempo. lo spazio comprimeva inutilmente le strutture, le fibre, aveva una specie di peso che distraeva da ogni rotta, immobile, misurata a palmi. nota: tutto regolare. esposta da ore, da troppo, come un amoreggiare valgo, ha caviglie sottilissime. tanto da averne di meno. piuttosto altre da tenere. invece niente
accordion
prima lo zero poi il meno. consumato nella notte un bianco battesimo di gusto e tatto. peggio
per dispetto soffiano sicilie intere di venti e di caldi raffermi, lucidi, ennesimi, perenni. insieme respiri un delicato intreccio di pesti candite ai nervi. ne fai un tabacco che profuma come se t’avessi
hai una cera...
da lontano s’allungano terre improprie, raccolte nell’angolo dell’occhio. le tieni per farmele leggere, prive di grazie, veloci. le mescolo nel mio piccolo reame, con te, piccola da farmi fame
qua e là corpi che stanno, che fanno e non fanno. quasi nuovi. han tutti le lune storte, solstizie, scritti con diligenza, a grumi, formano figure, dove la luce si dilata e viene meno, quasi nel mezzo
vanno di fretta. guardi come galleggiano come fanno
membra tenebre stese in bassi negrissimi piaceri, strette in palinsesti lombrosi e stinti replicati in giaculatorie in fiocchi davvero leggeri e gravi
quindi il saluto per mezzo d’una bocca appena schiusa
se senti grattare è il gatto, dici, bisbigli
son carabattole, folgori, i pianeti dei tuoi corpi, spinti fin dentro l’iride residua (storta perché discontinua, vuota perché puoi
mi dai da nascere quel poco, quel che basta
sospendo riavvio arresto
canto d’invito a bere mancamenti
vittima d’una voce minuta - comunicata - a riflettere sulla salma graziosa che viene su - a perdere l’atto il limite la parte dura e crudele del ciclo ordinario del cielo - del tempo - a svanire rapido - esatto - sistema ordinato - sistema di cose che tornano che resistono - che tornano - un sonno da manuale - spazio senza schermo dove muoversi in storie in pitture date a voce - vestite - si direbbe - come donnine a modo - inghiottite in brani sconnessi di
da lassù farle più belle
predicare a giusto titolo - rifarsi a ipotesi impossibili - a più infimi teatri
tutti maestri tutti presi in una specie d’affinità prossima al peggio - pallide e quiete anime tutte d’un pezzo - niente resto
dicono c’è posto solo per me
presi a brani a parole d’ordine insieme a mille altre come a tenere su ossa carni bocche teste - tenuti invece con la pellicola muta di movimenti men che corretti - perfezionati dalla stessa immagine del tempo speso a darsi farsi rifarsi sfarsi
in ragione dell’elevato processo dinamico dell’aria nell’aria sta un luogo - una fistola per tanto dire
e sovrano riflettere
ma certo... restate, restate per un altro caffè ancora
- continua
a sostegno di sociologie prive di concetto ecc forme comuni d’un controllo d’una disciplina d’un limite quasi banale ecc - non fermate gli elementi moltiplicatene il mutamento il cinematografico moto proprio - girata - filmata all’infinito la vocazione all’infinito - montata e rimontata fino a farne tutt’altro -
la camera lo schermo la sala
presi da debolezze da fami da espressioni inutili da una chiusura quasi voi quasi
stupefacente ritmo cieco di nutrimenti brevi - fessi - per più prodigiose carburazioni
identica - uguale all’ultimo pensiero - adatta - mediocre - permanente - identica la piega della carta del libro identico il libro - ché si sa com’è che va com’è che non va a finire
- piuttosto un romanzo mediocre - tutta invenzione tutta da un’altra parte - tutt’altro - piuttosto altre robe tipo voglio dire che voglio dire come che per come per dire come voglio dire
ecco s’apre la piega del quadro - il quadro - la tavola d’un più alto pranzare - spazio ce n’è - si tratta di mettere i personaggi più distanti - metterli a tiro d’un rinascimento a caso regolato dal proprio - arcano - umanissimo - bagatto - giocato a carte - smazzato da insalutato baro
...ah quell’epoca e tutta quell’aurea prospettiva...
nozioni base - domanda - cos’è - solo sfiorati da altre cose già prese nel campo nudo d’una decisione presa ma perduta - perché presa e maltenuta - gran scena dell’incontro d’un uomo con la propria caduta - è che l’hanno lasciato andare - dice - per risultanza d’una somma strana - dice - è che è il buon dio che comanda - dice - che è per far algebre più celesti - e più celesti ancora farne le grammatiche
memoria delle barche da oblio (a b
lui che ha finito, adesso aspetta
sì, ma prima, prima
un'informazione, un insieme di parole (loro l’ordine). nel luogo apposito si declinano termini a coniugare altri termini. in cerchi fatti non da mani umane ma
correttamente comunicati. si dice ciò che noi
passo obbligato. si crede. stesso passo. prima elevazione
contemporaneamente alla terra. si vede. b prende qualcosa, inserisce qualcosa, sembra qualcosa. dice è per provare. provare che
era nell’aria che parlava, parlava
dove sarebbe bene arrivare e andare
fa poi il punto riguardo un certo numero di questioni da risolvere. le trova in uno stato pessimo
sa di esserci stata molto e, confessa, piacevolmente, in un certo luogo. vorrebbe specificare quale ma ciò di cui parla corrisponde a un’improvvisa discesa, o meglio, caduta. eppure non si dà pace. irriducibile a ogni combinazione o ipotesi per
peso dei gravi. finisce di dire. sarà che, per forza
guarda, l’unica sarebbe la separazione del vedere dallo stare ma non il sonoro, il sonoro proprio no. e non ci sarà trama che possa t
per quanto riguarda il discorso, il sonoro, una voce a proposito di chissà cosa, che allo stesso tempo parla e che allo stesso tempo vede un’altra cosa a qualche altra cosa simile a ciò di cui poi si parlerà ancora di qualcosa ancora di un’altra cosa ad un’altra cosa simile a
farne una separazione no, una distinzione, forse. ma il sonoro... per forza, a garantirne la separazione
ma come si fa non lo dice
luglio 2007
Pubblicato da riccardo cavallo
Etichette: roberto cavallera