lunedì 25 febbraio 2008

da Mallarmé


altro che dal rotear continuo o dagli intrecci della fata stessa, etc. Mille arguti particolari d'invenzione, senza che alcuno raggiunga un'importanza di funzionamento realizzato e normale, nell'espressione. Qualcuno mai, specialmente nel caso siderale precitato, con più eroismo passò oltre la tentazione di riconoscere, insieme ad analogie solenni, questa legge? Che il primo soggetto, fuori quadro, della danza, sia una sintesi mobile degli atteggiamenti d'ogni gruppo, nella sua incessante ubiquità, i quali, come sue frazioni, non fanno che dettagliarla all'infinito. Ne nasce una reciprocità, da cui risulta l'inindividuale, nella corifea e nell'insieme, dell'essere dan-zante, che è emblema, emblema, non qualcuno... Eccoci al giudizio, all'assioma fondamentale sul balletto! La danzatrice non è una donna che danza, per i seguenti motivi giustapposti: essa non è una donna, ma una metafora che riassume uno degli aspetti elementari della nostra forma, spada, coppa, fiore, etc. E non danza; ma suggerisce per il prodigio di scorci o di slanci, con una struttura corporea, quel che ci vorrebbero paragrafi in prosa dialogata o descrittiva, per esprimerlo nella redazione: poema affrancato da ogni apparato di scriba. Dopo una leggenda, venne la Favola; non intesa però nel gusto classico come una specie di macchinario d'empireo, piuttosto nel senso ristretto d'una trasposizione del nostro carattere e del nostro comportamento nel tipo semplice dell'animale. Con l'ausilio di personaggi ben più istintivi, loro scattanti e muti, di quelli cui un linguaggio cosciente permette d'enunciarsi nella commedia, sembrava facile giuoco ritradurre i sentimenti umani già favoleggiati in innamorati volatili. La danza è ali, è fatta d'uccelli e partenze nel per-sempre, di ritorni vibranti come freccia: all'occhio che sa scrutare,