prologo
ella taceva
affondata e sospesa nel silenzio altissimo
dei suoi occhi, il Beccafumi concertava
traveggole e fughe, fra scorci scombinati e lascivi.
Un esercizio elisabettiano, per una sola mano
inizierebbe così: se vi fosse piuma, petalo, anello
o soffio, qui un segno (mi) è dato, degli occhi di ella
il silenzio immenso, saldato alla piega che
non è piega, e che cancella
tutte le parole, intelaiatura materialistica
del profumo e del sogno, e finirebbe così
press'a poco: ella taceva, affondata e sospesa.
ritratto (II) con paesaggio
Per qualche regina uscita un giorno
dal nero della terra nera uscita un giorno
della nera terra.
Per te il ventaglio schizofrenico dei gesti.
In una valle che va
più su
più giù
in un quadro perduto, in una perdita
che è musica, in una musica che
di luce perfonde le cavità bagnandole,
i rosoni -eccetera- dove il Beccafumi sorrise,
una volta ancora escogitata
la fuga.
e fu impaginatura liberty
con accenni ed accenti che il Beccafumi
spiava floreali, capocchie rosa o grigio fumé: fu
poeta persiano nella portineria
jolly di memorie, nel mazzo centrivoco e centrifugo
delle sue carte, che teneva sparse e riposte ovunque.
magicamente (ripeto: magicamente)
la figura fresca di lacche e di terre
iniziò: prese a dire
nel forse
nel può darsi
nel certo qual senso
nel su per giù.
Il Beccafumi taceva in un ascolto convesso,
di una convessità nomade, in fuga e che
perdeva sangue, logicamente.
Poi proseguì con il
non è un vizio è un'arte
perché, così.
IL TESTO CORROTTO DI UNA BIOGRAFIA
Una biografia moderatamente uretrale
circondato da culi il Beccafumi scorse
ancora un bicchiere, un piccolo calice di vetro,
e Sodoma sarebbe finita, mancava poco,
molto tempo aveva da trascorrere nel parco.
ancora una volta.
LE OTTO ETEROTOPIE DEL BECCAFUMI
Retrogadante granchio
lo sguardo bolliva acque la palude fumava da molto
aprì pianissimo le chele fisso nella lentezza del moto
una tenda fu scostata lasciando vedere la scena in cui si nascondeva
avrebbe bevuto tutto
gocce calde brillavano sulle sue labbra in figure di passaggio e fuga (uno)
fumo azzurro guadagnava un soffitto di crepe (due)
stringeva in mano un piccolo bicchiere (tre)
i suoi occhi ascoltavano suoni fluttuanti (quattro)
vedeva navigare la luna tonda a velocità folli fra le nubi (cinque)
correva di notte su un ponte altissimo ridendo a squarciagola (sei)
diveniva immortale fra le montagne (sette)
guardandosi in uno specchio incrinato si faceva penetrare (otto)
Cerca il mio volto in un vetro,
il mio sguardo nello spiraglio di una porta socchiusa
la gaiezza di Velazquez in una vampata: in questo buio
c'è un'infanzia ed il rumore si fa silenzio
una delle notti in questa fascia di fuoco
gocce e grovigli disperdono il tempo che è solo a patirli,
cerca il Beccafumi nello sgabuzzino
è stato il gatto, è
stato il gatto.
Mai più le urla ed il rumore di quel che sopravvive
o il lagno, o un che di diverso
dal canto dei violoncelli o musica
e dal volo lontano nera ala di corvo volteggiante
per un cavo cielo di piana apparenza
disturbino più il tuo orecchio; sia solo il silenzio
gridi le sue condizioni
ed i segni:
facciano quello che vogliono
che al sabato ti sciamano intorno
tu contemporaneo silenzioso, sciamàno,
fondatore d'ombre, uovo opaco del dissignificare perpetuo.
eccole d'argento le due e
molte lune, i cerchi
del respiro che naviga per
gli splendori notturni opachi o trasparenti
nell'ora stessa nell'ora differente
innumerevoli i dischi nella rotazione immobile
pura meraviglia circolare senza centro
senza fuori senza dentro, la dolcezza del ventaglio
lo sguardo, l'argento, i vapori di venere.
Tende o sipari, drappo di pieghe,
scura ombra densa e piena
in un blu di più blu dipinto luce passa
nasconde il separé della luna, investito
dal manto il corpo dello sguardo rientra
in sé fa corpo immortale, coincide
chi sa se con il blu. Il mattino dopo
fra il fumo del caffè cercò Artemidoro
fra il fumo della cioccolata cercò Apollonio
fra il fumo della pipa cercò la traumdeutung.
DOMINICUS VIDIT
Io, Domenico vidi la scena una sera,
filtrata da rami e rade foglie in forma di cuore,
le tre arcate con le tre luci
le due fiamme guizzare, correndo da un punto all'altro.
LE DUE LUNE E LA ROSA
Oro nell'azzurro e rami neri, giallo di luce
il Beccafumi di tale e quale profusione argomentando,
legni lucidi come e più di specchi,
una birreria sommersa dai fumi,
un atto mancato per la perdita di uno o più tempi,
l'atto mancante bevuto in sua assenza,
"avrò le due lune e la rosa"
sentenziò calandosi in gola un sole d'ombra, un oro bruno,
un globo, quasi di tenebra.
IL BECCAFUMI SI RIVOLGE ALL'AURORA DICENDOLE
fin da te è un abbraccio liquido
un aprirsi di corolle circolari, di piccoli calici
la serata precedente fra un'orchestra ed una luna pallida
lievemente gonfia.
IL BECCAFUMI NEL FUMOIR
Vide dio: chiamandosi teneramente
e per ischerzo guidogozzano o dylanthomas.
Era quetzalcoatl, il serpente
la grande bestemmia, il blu
dipinto di blu, il loico, il libidico,
il teologo, non si occupava
se non dell'invisibile.
Presto arriveremo a durango, o a bisanzio, là
dove il punto di vista crea l'oggetto
e fra due fiumi come il tigri e l'eufrate
o dove gioca la croce del sud in uno specchio tremulo
lì dove c'è una stella, una stella
che usciremo a rivedere, fanciulla,
sacra prostituta, manto di giaguaro
sei questo viso che ride d'ogni sciagura
e di tutte le catastrofi, questo scheletro perlaceo che non è più
un discorso, che non lo è mai stato.
Piange al capezzale dell'estate,
prevede scene turche, negre, torinesi,
sarà autunno felice per lunghe ombre nel pomeriggio,
aiole abbandonate, fumo fra i docks, arrivando come se fosse un'alba
e l'esperimento della gran vacuità.
Un sogno di vento: non è il diamante,
non è la sfera di cristallo:
la bolla, solo la bolla.
Di ottobre in un respiro lo stradario folle
la fine del sonno di millenni, la colomba,
l'interminata veglia che fu un concerto sospeso
lo scorso settembre
nel corridoio degli affreschi,
ritornare sui luoghi, sul luogo, tutti i luoghi
dove respirava, dipinto forse in forma d'isola
nel box, d'angelo o di nera nube, densa e gonfia.
IL BECCAFUMI IN ASCOLTO
Il Beccafumi intuì la fanfara
in un reticolo malatissimo a formazione simultanea
dal lato sx colavano rivoli
distendendosi filiformi
luccicando di perla di prussia di garanza
intuì la fanfara splendere beffarda
in un reticolo ritornante
nella grande salute, nel più gaio dei saperi.
non solo l'occhio
di tempo neppure una goccia.
Andromeda ed il Granchio retrogradante dimora come
al cinematografo la luna tenuta sulle ginocchia non
il tempo né l'occhio, potenza di luce non più che fumo
la sembianza fugace iterandosi, fiore d'acqua, non
più tempo solo una macchia e segno
il buco elastico della notte piena, né solo l'occhio.
Fu madrigale fra arabeschi hermetici
cantato nel silenzio di un'eleganza sinuosa
… ella giaceva riversa e soffusa
la luce discendeva
dalle quattro post meridiem
giù all'incontro in cui la notte (la Notte) ed il giorno (il
Giorno)
confricano le epidermidi in un movimento danzato,
che sia di due, di tre, di quattro;
che sia grigio, rosso, rosa,
o di un verde infante
prima, puerile poi.
avanti a lui sonagli d'avorio sferici
danzavano nell'utero, quel suono il Beccafumi
da tempo tentava di dipingerlo.
IL BECCAFUMI TROVA LA TROIA DI BENESSERE
Il Beccafumi si trovò
una troia di benessere.
Il tenue profilo, la dipinse
quasi occultata dal tronco dell'abete.
Il cielo divorato dai rosa in fondo.
Questa volta il Beccafumi erano in tre: in due specchi
dunque quattro, commentarono, e la nebbia saliva,
dodici di loro, tutti traditori, fissi nell'immobilità della fuga
con il bavero di pelliccia rialzato
(Huineng: non c'è specchio)
CHIUSA APOCRIFA (NATIVITA' DELLA VERGINE)
spazi bui dentro spazi ancor più bui
qui e davanti non c'è che altrove
in quest'ovunque d'apocalissi nerofumo
spariscono gli anni i giorni i tempi i luoghi.
I nonni di dio nel campo visivo
in quelle stanze dove il vuoto medita su
sé stesso. Presumibilmente: terminale
di sovrasenso l'accesso all'ipercosmo donde
di nuovo si esce per la prima volta
dal mondo
supposto epilogo
IL BECCAFUMI VIAGGIA IN UNA FINTA PRIMAVERA
era, sarebbe stata, lì da prendere
in sul parquet la vergine applicata
sfuggita dalla mano del falconiere
in spirali discendenti calava, la colomba