I
Non ci è dato assentarci troppo in fretta
scioglierci assentire
- avessi ancora voce
non questo ingolfarsi
in fiato che sola ormai sento
assommarsi di sillabe mozze sciupate
come vorrei dire
scivolo annuso un ultimo strappo
me ne vado –
ci è data questa disciplina
di chiodi e lame e incisioni
in carne viva
tutto vedere di tutto ricevere
esperienza che frastorna – vedo
questa mia morte che viene
sento questo rumore che cresce
ma non ho parola intera
che dica solo occhi
aperti chiusi
in gola ora ingorgo di vocali
definitive trasparenti
farle uscire-farle uscire
con questo alto basso respiro
ancora
II
Cosa si perde in noi
nel farsi implacato della disciplina
che ci lavora mani unghie
scava l’occhio al trucco ultimo
che vuoto si scava
che lento precipitare di suoni
perdendosi nel fondo a ritroso
consumandosi
che silenziosa sconnessa risalita
di ciò che va a disfarsi
melodie interrotte
colori sfilacciati
di abiti che un giorno indossammo
i fiori d’arancio hanno cadute
rapide impreviste ai viventi
e lingua mai prima compresa
ora che l’altra frana via si sfrangia
che transito
che strozzato discendere
di voce intrappolata in carne
apprendistato di relitti
di confini anteriori
dell’oscuro dimenticato
disconoscere
III
Per troppo vedere e sentire
porto via ciò che risale
e non può dirsi -
senza suono
grido originario
interruzione
- a sparire
imago: maurizio ovidi installazione