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che l’agire ti conservi dolce pervicace fiamma
indovinate se l’interprete riesce a far sua la frase o pensate a una qualche distinzione tra questo nero e il vero
signori. tolleratelo. è che recita robe di morti. ormai. lo fa per mestiere. non vedete che disastro?
non avrò madre che non sia musica non avrò padre che non sia spirito (puramente ornato
e m’è dolce questo tuo tornare che fa questa notte un mare d’acqua nera, ah, oziose forme di vita, ma non senti freddo ai piedi? ma poi, ce li hai ancora i piedi? è che dio sedendosi t’ha preso sulle ginocchia dicendoti esala, esala ‘sto ultimo respiro, non è neanche tuo
giovane e bestia parola, è la regina che tratta, diletta, con questa notte, pronta a dire al suo re di come, da viva possa ancora a lui dettar parole... che paura aveva a vederlo tale quale com’era, com’era... (non riesce a dirlo) non venirmi più a chiamare - ma non quel chiamare. sospira. per via della carne? si crede immaginifica lei - bisognerebbe chiedere a laerte, così pratico di bellezza... la sofferenza così stranamente debole... sicché lo spettro allarga le braccia e scompare
rimasto ucciso... là insieme al buon gusto... bevuto se stesso come da coppa pregna d’acque morte, ma morte davvero
è legge di natura - lo sai bene -
che ciò che vive deve pur morire
dal mortale passando all'immortale ecc
e al figlio tutti quei ricordi messi su come una rovina qualunque
non vorrebbe che quel suo addormentarsi
al primo incontro col re, questi si profonde in sfrenate lusinghe a chi?
non se ne intende il labiale
che vada a fare in culo il re, disse il re
insomma, amleto esce (i re restano
come che sia d’uno spettro vederne lo spettro, come che sia d’uno spettro vedere che si gira, come che sia di pretendere che un essere si faccia in due, insomma che ci sia un prima e un dopo... se sia questo da spiegarsi senza vaghezze altre, cristultime, inutilmente amplesse darsi piuttosto in infuso di parole, e con queste coprire quelle della regina (straparla
sorpresa con in mano un libro e nell’altra una coppa
le si domanda se questi siamo noi... non capisce ma sorride gentile
questo noi questo?... come che sia d’ammazzarne uno e vestirne i panni, ne manca sempre uno (io però
ah, sudditi chi potrebbe mai insudiciare col proprio corpo il proprio spirito! tanto più un puro spirito: capite niente: coglioni
amleto, sappiatelo, è budella delle mie budelle
è che davvero, mi sembro vieppiù venerabile, ah, poi questa, questa è grossa
uccidere, rubare, usurpare, ah, finalmente uno specchio! sì, mi ci vedo mi ci vedo
ah, figlio, amico, verme, viscido lombrico, non mi dire, non mi chiedere non pretendere, non parlarmi di sorte, com’è che sei così tutto incazzato?
(afferra la mano di amleto, teneramente
amleto: lama del mio sommo dispetto, non gola, ma bersaglio
re: chi di noi finiresti prima figlio mio? noi me io?
sappi che, respiranti al meglio delle nostre possibilità, sono, siamo, di salute perennemente ragionevole, a seconda dei flussi, e degli umori... presto, aria
amleto: resta uno stato in armi, il mio, e un olezzo, madre, rivoltante, madre mia, che pare d’anima andata a male, signora mia. solo di spirito a volte ci resta di stare. spirito d’un santo trapassare. ch'io angosciato - ottimamente - ordino le carte di chi m’ha messo al mondo: ne sprofondo. e voi, che conoscenza avete relativamente al vostro, come dire, esser viva? voi bruciate d’una natura troppo benigna, tanto che siete voi, che in piedi state e non l’altro
sempre stare invece al di qua dell’inascoltato, qualunque cosa voglia dire
(enter tutti
con che gesto limitare la parte del tempo che s’approssima e supera, supera, inesorabile, ogni nostro scampo d’andare? mi resta pur sempre il levare l’arma al cielo e riabbassarla insieme alla terra, al tempo, a ‘sto cazzo di sacramento
vedi, zio, è di te che vorrei, una parte, mozzare. è l’ora, ricordi, come da fanciulli come ad ammazzarsi con spade di legno - è l'ora fanciulli? è l’ora? no no non ancora, un atto? due? vince chi crepa di più
dorme spesa, la mia regina, fra le sete preziose e vaghe d’un darsi a carni seminuove, sorelle d’altre ancor più sfatte da terra direi perduta e scura e che vorrei putrida e ancor più morta per un più lesto appassire
enter quella vacca, con che lacrime poi ma con che ingegno
eh, rendere ogni presenza un’illusione - come? non ho inteso... renderlo cosa? strappare che? sì, certo, suoi, suo, ma eretico d’ogni ipotetica grazia o pietosa devozione... io che son pur sempre qua, come per una decisione incongrua al mio partirmi come seno ferito, solenne, dai colpi d’un destino presto e pregno
mi dicono che è stato visto il fantasma d’un morto, visto come fantasma di vivo, proprio, infettato da fiati comuni, mortali, l’han visto recitare una parte, l’han visto andare, l’han visto (per un poco) restare
dicono essere, dicono che l’han visto, e dicono... no non può essere
mi par sempre di vederlo...
dicono che l’han visto venire, l’han visto andare, l’han visto tornare...
a recitare l’onnipotente, sì, tenendo la scena, predisponendoci all’ascolto, con paramenti adatti al vaghissimo volto suo. prenderà ancora idioti all’imbarco? si chiedono
qualcosa come dell’azione, l’olio del buon attore. ah, madre d’ogni tentazione, lo vedo già leccarsi la ferita, l’oltrenaturale afrore, fiammato d’ogni colore
ditemi se non vi sembra ancora di vederlo...
sarà la polvere a contendervi le pelli, gli ori, gli artici vostri cuori, gusci di sostanze preziose e pertinenti ad un animo estorto alla buona sorte affossandolo in due occhi inquilini d’ogni sorta di tragedia e la lingua a dimenarsi, avara, in cortese tenzone al buon dio (lui la vostra abbondanza a miglior moto d’astri a miglior arbitrio
(ridendo
sbiancare le ossa, farne armature a durare eterne, più sanguinose ancora. fuori ferro, fuori, spiccato il cranio, il teschio, il cerchio. che orrore, portateli via. destinati a più ripide fosse... portati da diavoli ulteriori di ferro e lustri
(recitante
atto v scena iv
tanto vale seguire la figura strana di quell’anima monca del corpo - ma com’è che cammina - e fantasmi pure le vesti - dice polvere, proprio così: terra - e ci copre bene - ne fa creta - a tappar bene scarni spifferi di vento tra fianchi sfatti - impossibili al rammendo - una crepa al muro del fato - della fortuna - crepa d'un tradimento - al riparo d’una lingua stemperata dal soffio aspro dell'inverno sboccato nel veleno d’un ingoio oh abbandonato a un satanico feretro qui sposo all'urlo mortale a inumidire gli occhi fiammati da un utile inferno
occhi fanno il cielo sì umile
fin qui le succinte cronache d’esequie e funebri traspiri, stramorti, presi in ordine fatale (maldicevoli - epitaffi
requiem a recitare, primo attore, il riposo, non la pace, repertorio d’un dramma più gentile: non si tratta qui del caso
(escono
officiante d’una breve battuta, a gemere tra le righe scritte dal basso all’altro, rito calato nel testo (l’ennesimo
enter la bella, ha dei fiori d’addio, e va, li sparge sul palco, andate, che vado anch’io, dice, ricamando nell’aria il proprio stare, su andate, addio (a parte
no no, aspettate, per finta, se non altro, a ricoprire d’altra terra la terra, che mi possa stringere, con passione piegare l'anima tra i pochi steli d’altrettanto pochi fiori (ché poca polvere fanno i sogni
atto vi scena v
ammucchiato il volto sui vivi finché il pallore vi confonda gli occhi in questo piano di lacrime, azzurra fonte d’un olimpo al tratto (ci stanno le mie gioie, astri futuri dello stesso mio fetore
(esce
parole fatte per afferrare la mente la gola
s’avverte a pelle la tua colpa, mio sire... non impallidire non pregare, innocenti chi? gli innocenti? via, tieni fermi il tono, l’accento, la vista, l’udito, la gola, prova a stringerti, fammi stare, ma attento. quale pubblico? quale palco?
puro per quel tanto che mi consumo: prudenza, causa del temere
(facendosi intorno, invano, alla fossa, fin dentro, mancandone il centro, il dentro, stretto, troppo stretto, misurato intorno a un ultimo cerchio (ne spiega l’apparire, nei dettagli) se lascia questo
amavo o
vuoi piangere? vuoi batterti? capace di mozzare d'una colomba il volo. e senza duello
digiuno di fiele. bevo ogni torto. mi divoro quanto un'idra. dovrei anch'io. ingozzarmi. avvolto in carogne di fossa. interrate, povere salme, ancora vive, tanto da arrostirsi, lì sotto, il cuore spegnersi bestemmiare per ben altro tropico fuoco
questo a teatro so farlo anch'io e sulla scena spiattellare a tratti pochi (pochi) crimini, perché covati come cuccioli dorati di miracolo, d’assassinio
ragione tipo indulgere al padre, ad uno spirito che potrebbe essere un diavolo comparso così alla pazienza di uomimi troppo presi d’altri pensieri (respirano, pure) ingannati, ingannati. discorso però scadente
atto v scena vii
(alla mia debolezza regina
umori di tomba presto avranno un vivente da masticare
cosa, cos’altro per indurmi alla tranquillità, alla dannazione ritorta e muta, al dramma
recitato sarà il sonno, torbida audacia, oblio infamie dalle grosse trame a più non poterne dire. dio (o chi per lui) sondando forma e sostanza
appesa ai nostri fini una domanda una. si dà il caso ch'io, pur pregando, restassi ancora vivo. non assisterò ad altre altezze e non vivrò per vedere la fine, lo spettacolo il filo invisibile della spada stretto quasi dovesse troncare la consolazione vizza d’una testa. ne fa invece un ricamo
reggi il mio al tuo, di talento, ma stimolalo ancora, indirizzandone ora lo spirito ora il sapere
come, come ho fatto vivere di tante distrazioni
preso da ben altre altezze, io
(esce rosencrantz e quell’altro
re: andate pure, voi, ho un prologo dolce da sproloquiare. in tutta discrezione (a parte) far fuori pure il figlio
e che si dia inizio al dramma... cosa vile non lo scritto ma il recitato
amleto: miglior causa all’atto, e molta conoscenza
mi strugge il sentimento del non aver scritto ancora del sangue, ma in che modo vederglielo uscire? no no, dico, dal taglio farglielo uscire come calda preghiera. e delle tue grazie, poi, nutrirmi indisturbato, mia regina, e di virtù squisite, tipo la pace, poi, ad esempio, incoronarti
ne sono persuaso, persuaso, che dio regni come se ne avesse voglia
io, più duro ancora, ne ho voglia per davvero
(esce una virgola, per l’emozione
atto v scena i
ofelia (e così via
comincia col passeggiare ma con gran peso, in cuore, o dove
come se avesse preso gusto al tenore della propria grazia (a morte ofelia, a morte
ché mentre passeggia già muore e cade, ma senza lasciare, il libro, troppo, presa, a
ostensione temporale no occipitale a dar colore a purgar l’anima da chissà
il cielo, compunto, fece il resto, umettandone la caduta
sorte questa oltraggiosa, frutto marcito dal fato dirsi inframmettenza alle doglie d’un più basso stare già che a piene mani si tiran colpi insani agli avversari, alla carne (danno e danno
accaniti
ora rifletti: sognare, forse, già, ma non qui, che si dismaga l'intelletto: perché dentro m'ha, quel sonno, trucidato come della morte d’un padre a insozzare sogni altrimenti scrollati via da un fastidioso
ecco dopo tanta attesa il successore, tenevo pensiero che, che deve avermi gettato, amo, esca, nel dubbio, nella stessa vita che mi fa così, un po’ sciupato, ecco, quale frode... quale miseria. perfettamente indurato alla coscienza saldato ad un linguaggio (borioso) (superbo) per natura dedito alle pene, all'amore
dicevi ofelia dicevi mi dicevi
atto ii scena ii
merito paziente dell’offeso è l'intervallo della mano, la preparazione del colpo, della vendetta. alla morte non si chiede permesso, si bussa, si entra, si prende tutto, si conta fino a uno, si ricomincia
eccedere al proprio fardello alla gramigna che appesta al peso che muove ‘sta messa in vita, timorata e riflessa a se stessa, oscura, inesplorata, mai stata, che torni a trascinarmi in quella rabbia
osrico: per volar, signoria, nell'aldilà, occorre coprirsi, che fa, colà, ancor più freddo che qua
amleto: è fumo di palude quello che vien su?
orazio: no, è una morta che già scolora
amleto: no no, mi sembra più un pallido riflesso rimasto lì per troppo frettoloso riflettere... cos’è che tiene in mano? un libro? un pensiero?
nome dell'azione (vede e riconosce il cadavere di ofelia, fa finta di niente
osrico: i miei, dolce signore, peccati, son più niente in confronto a ciò che vedo
(entra lo spirito di ofelia che vede e riconosce il proprio cadavere, fa finta di niente
ofelia: ben disposta, ben disposta, vorrei portarvi qui, mio signore, nel mio spirito, metterci i vostri ricordi perché io possa ritornarvi. in mente. e che veniate a riprenderveli. non io (non io) no, no, ben sapete, credete d’averli dati a me - accompagnati da molto freddo, sentite, soffiate pure, pure... già morta, dite...
osrico: parole spiranti profumo, vorrei starle qui intatto tanto da diventare
amleto: eppure avverto, oh, ma è già svanita. sarò io. tenetemi. sì sì, rammento bene il suo viso, par coeur chi parla? un cuore forse che... gentile, anche - sì, è vero, come se cosa, come se fosse... beh, si mostra a dire... suo, e crudele, eccomi: siete bella? oddio, proprio una bellezza no, ma di rara perfezione, ecco, di bell'onestà, di buona compagnia, un po’ ruffiana, denti buoni, gran figura, ecco, rifarmi alla figura vostra come somiglianza. la merito? sì? degna, sempre, sì, la bellezza: mio contenitore ideale, mio credere. pare (avvicinandosi al cadavere) ne soffra, di questa cosa, la bellezza intendo, ebbene pare che ne soffra la virtù, cui non s’offre mai alcuna perdizione, in virtù di a onestà di cosa dal tronco mio piantato a terra cresceranno rami da cui cadranno fiori, e foglie, manco tenerla, tutta ‘sta terra, manco tenerla, manco farne un inventario, mai amata, peraltro, a pensarla mi prende un capogiro, un capogiro
con far pantocratore prepara e manda giù peccatori, la verità tuttavia stigma, colpa di tanto grosso taglio. dentro nascoste cose come da partorirle a momenti, come vendicativa, sì, ce lo hai messo ma lo rimetto
osrico: come infallibilmente favellate, signore
amleto: non ero io
la forma, il tempo, sufficienti a consumarli, ora, che fate? noi si fa al mondo un drappeggiare del nostro essere così sempre questo strascicare sentire, nostro, troppo, qui, tra rozzo fiato di cielo, di terra, doti pestilenziali, ammonimento a stare, sì, ecco, di nuovo, resta, no, vai: casta come ghiaccio, candida come neve, ecc
a imbellettarti, vai, vai ballonzola, sculetta, bamboleggia
vai, vai
ofelia: son creature che han male di dio...
amleto: non ho inteso, come? (rivolgendosi a osrico) sei pugnali, più gli accessori, cinturone, pendagli. sai, è tutto qua. vai, vai, vattene hai detto?... (escono
(rientrano
ofelia: che parola, che nobile mente
osrico: i pendagli, le armi, una rosa, signore
amleto: questo giardino è troppo corto, più del nostro regno, più del regno di quell’altro, a proposito, quand’è che ce lo prendiamo? anche se preferisco questo. dicevamo: più sei cavalli, e gli accessori, più il miele, più la banda (fatene arrivare una di riserva più tre nel suo cuore che so, so essere desolata, sublime, dovunque andata fessa, stridula, come cosa andata come forma usata di bellezza che più non capita di vedere, la figura dico, e l’aspetto, ho una sua foto, son sicuro d’averla, diamine, l’ho lasciata sul cruscotto
atto iii scena ii
osrico: questa specie di principe ha un delirio
basteranno tre stoccate (ho sei spade) ne restano tre
osrico: da intendersi folle, coglione d’un folle, e pensare che con tutti quei soldi
amleto: signore, mio signore, sapeste che sto covando, avrò da passeggiare sui fumi rotti delle ossa vostre
osrico: quel suo cervello straniato e quella madre a far la frivola con quell’altro, poi
hanno assimilato l'aria al tempo, pare la respirino, come io la respiro, eh, dentro solo schiuma, li prende tutti e me li nasconde, se li porta via, dispiace però, andrò anch’io e basta, soffierò e spariranno, metterli qua, alla prova, pagheranno, origliano, perfezionerò l’eloquio
osrico, no, quello posalo
piuttosto, mio re, non trinciate troppo mia madre, la regina, ecco sì, aspiratela bene, aspergetela ben bene, ecco, con la mano, così, oh, come gesticola, oh, invece, con garbo, è già subito lì che traffica pure lei, oh, lì in mezzo è già piena tempesta, e manco una parola si dicono, tanto son presi, da quel vortice certo sterile, ma gentile
vorrei loro suggerir più moderazione, dietro la porta stanno i servi, proverei loro a suggerir quel savoir faire, come dire... una laida compostezza, piuttosto, ecco. oh, si netta ora di pura seta mia madre, non oso non oso regina mia ah, ah.. quella ferita che nemmeno credevo (esce
e se preparare un discorso fatto con misura? con amore, ecco, quanti orecchi avrà la mia platea, chi capisce resti qui, no, la rifaccio, porto con me alcune armi, vicine soltanto, là, al cuore... in più parti, oscure pantomime, alla frusta monsignore, siamo già alla frusta
solo una sorta di forzato presentimento... un buon presentimento... forse che un erode può commuoversi? un erode femmina, e che cazzo, meglio un duello
se reale, lo eviterò, ovvio, garantisco, però non ho tempo, mi lascerò guidare dal mestiere, sfidare la parola, e i presagi. un gesto, un gesto e vederlo cadere avendo cura che tutto accada con naturalezza, senza esagerazione, cosa contraria al mio teatro, se non alla fine, se non oggi, adesso, in virtù di ciò che lascio e di ciò che m’ha lasciato
l'azione scenica riesce fra fioretti e guanti con merletti, ottimi punti ottime croci, fra servi che portano un ridere per incompetenza. servi che apparecchiano una tavola con boccali disposti con scarsa simmetria ma con dentro del buon vino (il re prendendo per mano laerte
la platea, in linea di massima non si scompone, bene, vedo laerte, vedo gli attori, (il re stringendo calorosamente la mano di laerte
quantunque privo d'accento tu, gentiluomo, fammi movenze di grazia, invitami ad affondarmi lì, nel preciso centro del centro, così che dovresti crepare subito, averne in proposito buon udito, o meglio olfatto, no, tatto (laerte gonfiandosi, sbuffando
osrico: trista insania, guardate
(scomposto, amleto prende l’arma la guarda, ne ammira la punta
ho fatto di pensare che la pensavo più lunga
una fregna non potrebbe fabbricarne peggio di così, di uomini, a impastarne le membra tanto malamente, a imitazion del vero, ma come, come fai che hai torto, torto marcio sicché mia regina ti proclamo qui abominevole come una pazzia e a correggervi si farebbe torto al tutto... dimmi laerte, a chi la parte del buffone? già che io son dalla parte dello scritto, dell'offeso. son nemico. perciò è tempo, laerte, d’un’ultima affilatissima udienza (applausi
laerte: questo dimostra che il tuo dire è misera provocazione che dovrebbe spingermi a vendetta, preparatevi, su
(escono gli attori, meno polonio
anziani re deputati alla rappresentazione. giudici d’ogni questione. sapranno il mio nome tra poco. ottimamente. m’affretto (esce polonio
orazio: mio signore... scarsa maestria, scarsa maestria
amleto: non crederla tua
rifulgerà chi abbia voglia splendidamente come stella adularmi. il buio mi valorizza. potrei farne, di notti, io. sulla lingua un poco di zucchero. con grazia. più debole d’una qualsiasi
oh, i tuoi pingui ginocchi. sì ho timore. che si pieghino ancora là, fin dove cadevi e lì ti ritraevo con profitto, ricordi? ricordi? ah, sì, vedo che m'intendi. io a far di fioretto con le tue mani facendo il gesto di soppesarle. sigillo senza esca senza macchia sollevata a un palmo da terra, insufficiente, puranche a contenerti, tu m'offri, m’offri, cos’è che m’offri? dai che l'accetto
ed io accolgo morti. fatti di sangue. ben detto. come fatto di sangue io, a disputarmi in tal fraterna gara. a far di fioretto degni pensieri, uno per me, uno per me, brillerai, te, come ti chiami, lae? la? sì tu... brillerai di lama pura, come stella nel ma insiste, la mia regina, che là è proprio buio, è proprio notte. allora ha proprio paura le prenderei tenerissimamente la mano
osrico: compassionevole...
regina: che volete, dunque? parla giovanotto...
la scommessa, mi raccomando, bella ciurmeria (sospira). sovrano finalmente alla vostra grazia ecco battendo il petto e pestando i piedi si scansa proprio come una madre (a parte
con rabbia ma per niente
non ho timore. vi ho veduti. ha poco senso, un parlare che non dica a entrambi. io che sono monco e sono uno avete il vantaggio di partenza. ascoltate, prendete appunti. raccoglieteli e cuciteli come un fiore
osrico: diceva signore?
amleto: questo per me, agli altri altri gesti, faccio bene
così a forza di pensare d'essere animato da un pensiero pari a quale lunghezza? di forma, quale forma lungo, quanto lungo
osrico: sì sì, certo
(amleto e orazio paiono confusi, si guardano intorno
d'una sofferenza disperata, orazio, prepara l’assalto
un secondo assalto
un terzo (amleto s’avvicina a una porta, bussa
regina: fatelo entrare (esce
artiglierie di colpe come si conviene a un re, il re, berrà di me il miglior fiato
o... come va?
(enter ofelia cantando
amleto: come va?
ofelia: come farò fra tanti a distinguere il cielo, e, di rimbalzo, la terra, dolce brindisi d’una cosa che cade, e come cade, cade
amleto: che vuol dire questa canzone?
ofelia: ah, voi, giudice sopraffino, occhio bene aperto! dicevate? sentite questa allora
scivolata sopra una zolla di cosa. ha toccato chiaramente il suolo. per l’occasione in forma d’acqua. trovando un terreno poco adatto alla fioritura. lo doveva penetrare già come fiore, almeno, o.. bene, avanti
re: fermatevi. datemi da bere
casta come il ghiaccio bianca come la neve a.. guardate, guardate ofelia, spara fiori
di lacrime d'amor non d’artiglierie
osrico: così pare, signore
non cosa siamo, ma quel che possiamo, sì, l’ho già sentita
re: (alla regina) nostro figlio ha il fiato corto, tale e quale suo padre (a parte, ride) di cui farnetica un’apparizione ecc e mi sta intorno proprio come suo padre. tutto sudato. che schifo. amleto, toh, prendi, asciugati con questo
atto v scena i
vi dovessero chiedere: “regina di che?”, dite che è stato solo merito della buona sorte. vestita di robe caprine, e pure, e graziose
lasciatevi almeno tergere la faccia no, non bestemmiate, così (canta
(tra sé) eppure santa, per carità, verrà lì sotto verrà! incuranti le altre bestie le girano intorno, su, ti prego, tira su, a fondo, sotto da quanto tempo
osrico: è un niente di fatto
nella fredda primavera delle sue mani, gentili. ferite credo di saperlo continuare a separare altra acqua (esce
il veleno passa sotto, pensavo restasse a galla, come unto, come olio guardate, la regina cade sull’erba resa acerba dalle sue cosce donde sgorga, pare, della morte che, non vorrei dire, ma sa di merda
osrico: la regina, guardate, la regina
orazio: tutta suo padre
perdono molto sangue, tutti e due
osrico: ?
regina: (riavendosi) no, no..
la povera ofelia cosa? avvelenata? ah, quel suo bel senno, senza il quale, quale infamia... ma come, com’è successo
amleto: annegata, madre, annegata...
osrico: amleto tu sei morto e non c'è medicina al mondo che ti possa far crepare peggio, ancora, non avrai vita nemmeno per mezz'ora, inculati tua madre
v’è incertezza fra le nuvole, mentre intorno, in mano, mosconi a infettarmi l'occhio, no l’orecchio (strumento di tradimento) strette pestifere venefiche storie su padri, manco madri ecc ecco ora tutta ‘sta gente, sufficiente a darmi più morte (rumori dal retropalco
(si scaglia contro, dentro
cazzo guardate
uno che muore
madre bevuta non mangia la terra e la porge al re dannato, ma con più furia (in danese
fino in fondo, questa testa, dentro sta una turba silenziosa, sedata a fatica, c'è dentro una perla
la folla la madre (il re beve
ti gratto via il cuore
come fosse oggi
è lui il primo giorno del mondo
la porzione nobile d’altre mani, voci
regina: come su di me la tua (altri rumori da dentro
cani danesi, siate celibi, vi seguo. muoio, orazio... fammi strada... tutti pallidi.. signori, rimanete a questa azione ne seguirà un’altra ma tutti fuori state fuori (la folla si ritira) e tu rendimi mio.. vi direi... vada come vada... mio. mio.. con calma: rendimi mio.. o tu vivi, vedo bene e riferisci onestamente del mio sangue che s’allenta, calma, calma garçon, ancora del liquore
fedele madre mia dammi quella coppa! dammela!.. laerte, perdio, mio buon orazio, qual nome macchiato vivrà. in porzioni, alla regina, di me, rimanere ignoti, sì, tienti il tuo, ne perderai un altro. non temete per me orazio, tienti lontano, poco a poco dalla gioia suprema al trapasso, segue incisione, tradimento, respirare duro, respirare tutto
tradurre l’atto (boiate
laerte, il tuo dolore, tientelo per raccontarlo ad altri ecc
parla, dunque
laerte: dov'è mio padre?
re: morto
re: cos'è questo strepito?
osrico: vetri non di sua mano, non d eh?
da fuori) io muoio, orazio...
muore)
atto vi scena i
dov'è? cosa aspettate a vedere? è qui
togliete gli altri corpi toglieteli alla vista (osrico esita
osrico: spugna di re ben assorbe i favori, le prebende, vorrei poter stare più a mio agio...
una noce di puntura sta d’angolo nella sua mascella, non si riesce a toglierla, la ingoia
meriterò d’aver bisogno, non capisco proprio, meglio così
in tanta stolta contenzione, una rifinitura, il posto, il luogo mio, dove non si soffre, dove sta quel corpo, poi invece mi venite a perdizione, a farvi insieme inventario minuzioso di cosa sarebbe, a memoria, non sarebbe, non un re, ma una cosa... una cosa, spedito veleggiare, stima l'anima un grosso taglio, a parte, a sé, succeda quel che può (escono
atto iii scena iii
suo infuso di raritudine ch’è stessa
(entrano
farne proprio una definizione, altro
tuttavia dobbiamo mancato - infallibilmente
state attenti a non gravar la mano amica di noi su di lui, amato drappeggiare il proprio volgo balordo che segue, prediletto, per il troppo rozzo fiato, non il suo occhio piuttosto il suo [...] sarebbe possibile capirsi parlando altro linguaggio? sarebbe possibile comprendersi parlando altro linguaggio? son sicuro che
(sottovoce a osrico
che importanza il peso il castigo il colpevole, nulla
(sottovoce a orazio
il suo dolce e piano, questo improvviso, allontanamento deve già essere vuotato, e le parole preziose sembrare di tutti e il risultato
(sottovoce a osrico
per una ben ponderata decisione. il male estremo, estrema sì, esterna
osrico: stimo che non vi sia medicina che possa ecc
se no meglio lasciarmi star così. eh? trovo in voi tanta di quell’ignoranza, un po’ ve ne ficcherei dentro pure io, spero bene, quantunque, ecc
chi è dunque il re, il mio di re, il mio, mio sovrano, non c'è verso di fargli nulla, se non uscir di bocca là dove ha messo il [...] non è in voi che cadavere
re: dov'è?
rosencrantz: fuori, signore
santa ignoranza, eccellente, tutta questione di decisioni, del re, di rosencrantz, dei defunti vari, da quanto e per cosa, condurli dove
re: polonio dov'è?
amleto: a cena
re: a cena dove?
amleto: da se stesso
osrico: intende dire nella... non dove si mangia, nella
secondo una prima valutazione più che mangiare verrà mangiato, ha tutta un'adunata intorno a sé d’infausti destini, d’impoliticissimi vermi, sa com’è... è per cagione d’una dieta improvvisa, è a ingrassare tutt'altre creature, a ingrassare la terra, e indirettamente a ingrassare noi, signor mio, da mendicante leccherò gli ultimi piatti, più due portate di male inteso, avanzate dall’ultimo banchetto
re: che vuoi dire?
amleto: notare che ferro, maneggevole all'elsa, di fattura delicata e di liberale concezione
ufficialmente in viaggio nelle budella d'un povero, preparo una parola, un addio, questa? (sottovoce a se stesso
re: beh, insomma, dove sta Polonio?
in cielo. mandate qualcuno a rintracciarlo colà. ignote a margine. eh?
osrico: i pendagli, signore, mmmmm (spazientito
amleto: cercateli da voi
osrico: son qua, li ho in mano...
piuttosto sei cavalli d'arabia contro sei spade salire le scale scendere le scale, la loggia, cercatelo lassù. senza premura. tanto non si muove più
d’amletica concezione
- nel pieno nel centro del cuore - trovarci tutto un ben di dio
osrico: ma quanto ci addolora il tuo stato - non so se mi spiego
vedo un cherubino che mi vede. io che sto a passeggiare qui, in questa sala. cara madre io son tuo padre, prego notare il ferro
questo il mio respiro quotidiano. padre e madre son tutt'uno, re e moglie son tutt'una
perciò mio suo divisamento, io vincerò per lui, se mia madre... avanti, avanti (esce
s’acceleri l'imbarco, potervi raggiungere tutti, vi prego, affrettatevi
(escono tutti meno osrico
(esce osrico
ancora sanguina la lingua perché disposta a guscio, in tributo indifferente all’ordine, alla sottomissione, ad ogni genealogia, ad ogni oratoria
cosa fare, mi chiedo, tagliare la mammella prima di succhiarla? questa mia età frivola provvederà a guarirmi, fino a che l'aria il tempo l'abito fino a che non saprò di che cosa sarà fatto dentro chi, cosa
non avanzerà che un conversare esteriore, che possa presi tutti li si trasporta attraverso vederli farli cadere
(esce
atto iv scena iv
un pianoro
(entrano
idee più lambiccate, basta soffiarle, tirarle su, dividerle per piste, no, strettoie, eserciti da mettere alla prova, e chi s’è visto s’è visto
va', capitano, l’acqua già bolle e sono le cinque, la bustina, prego
(entra
chi volesse altro da noi, andremo a desiderare di prender altro tempo, avanti senza strepito
(escono tutti meno
sì, la mia è pronta, adesso quando e come che sia, purché sia ben disposto come - com’è che sono qui adesso? tutti gli altri stanno appunto scendendo e dove vanno quei signori se la regina desidera (sarà lecito?) una parola gentile
troppi fronzoli per conquistarle un pezzetto di lingua avida, perla negra
sì, vincerò di misura... non terre ma un nome nemmeno vorrei, piuttosto i presagi. ecco cadere chi non ha più da cadere e mi dice se l'uccidi non mostrare alcun segno esteriore, non ho compreso, non c’è tempo, ecco venire chi non ha più da venire sarà, adesso
(esce
dovrà pur venire. avanti, avanti... tenersi pronti, ecco
(escono tutti
andare: e dire che le occasioni non mancano a spronare la mia tarda vendetta, vada pur così. una tavola per mangiare e dormire? bestie. ammuffiscano senz'essere usate. piuttosto un letargo a farmi grazia. eppure quelle son cose (a pensarci bene, pensare che, se diviso
i qui presenti lo sanno, ma non me lo vogliono dire saggezza soltanto per un quarto e dovrei averne udito, com'io sia preda d'una bassa codardìa e per gli altri tre) mia trista insania ecc quel che ho e mi chiedo perché forza, su, mi proclamo qui a pazza superna, ulteriore. fu questo il vero amleto... no, mai. se sia testimonianza questo esercito no massiccio d'uomini pare avanzare pare una foresta
gonfio di sacra ambizione, non sono amleto, no, non sono sono amleto, amleto, un grumo, un feto, doppiamente rotto, doppiamente esposto ciò che è mortale rinnega ottuso la propria sorte. chi dunque in quel modo? solo sua ogni morte, solo morta ogni sua (ardiscono rosicchiare acque le mie giunture folle il nemico ecc
perciò tutto questo per la lingua il guscio dove batte, dove, chiamato a udienza risponderò con fare grave smorta ogni morte, ogni capriccio
cola dal letto
non sai e parli?
atto vi - scena i
amleto: laggiù, vedete nulla?
regina: nulla
se preghi togli via ogni preghiera, già vedo tutto, bene attento
quindi non avete visto nulla, né udito, guardate là, guardate, se ne va già via... mio padre in abiti da vivo. vivo. come. ecco, là, sta uscendo, stanno uscendo, stiamo uscendo, o entrando, entrambi
(esce lo spettro
incorporato alla forma sua. stessa misura. parole impartite come musica vana, dolce balsamo d’illusione a spingermi a quel volto a quella voce, come pellicola veloce da patire, corrotta all’olfatto, pare un velo arrostito dal fatuo accendersi dello spirito, del fuoco, d’un tropico sudare là sotto
la virtù così costretta non pare che semplice verruca. a fottersi ogni perdono e vizio, so farlo anch’io, a tratti sembro vivo, poi morto, poi ancora vivo, aspettate che si muova, un baffo, un dito, dai, un piccolo sforzo, dai, un dito, un baffo
dai, muovi ‘sto dito, ‘sto baffo, soffia, l’occhio, ecco, l’occhio, basta uno, muovilo da sotto, niente, dai, rovinaci la festa, rovinaci il funerale, dai
più pura l’apertura schiusa da dietro, inglobata allo schiudersi e richiudersi di quell’altra, solo il naso gli vedo spuntare, chiusa a schiudersi con quell’altra
e così
raccolto, per prossimi
penso di fare un altro regno. l'abitudine a sentire, ecco, me ne accorgo, adesso che pare che ciò che è morto è morto, per una qualche ragione che porta a far sì che alla fine qualcosa o qualcuno ci prenda e si prenda la carne, i sensi e
che il diavolo usi contrattar a questo modo? son sempre usanze
ho amato, io. ma non importa. stronza lacrima, adesso ci sta una crosta
atti onesti e puri: quel che si può fare: il gatto miagolare il cane abbaiare
(esce
fate astinenza d’ogni vita, almeno questa notte: restate
rendetevi tollerabile la prossima
l'abitudine al discorso, l'impronta, spiegatevelo il modo di venirne a capo
(alla regina
(indicando il corpo di polonio
avanti, avanti
(escono
atto iv - scena ii
altra stanza altro castello. entrate, entrate, fa molto caldo, il caldo sfatto del morto, mescolato alla o sarò io forse
osrico: sì sì, è polvere, un surrogato
che il caldo sappia mantenerlo, dategli un’anima dannata che possa dannarlo e quella roba nera come l'inferno, o dove dovrà andare, brav'uomo, di chi è questa fossa? ecco ci metta anche questo (rialzandosi
(canta
(esce
atto iv - scena iv
ci sta ben dentro, tutto, come ci è finito lì dentro? andato? come? giace? e con qual grazia ci sta dentro, e sa ascoltare, risoluto, immobile, così vispo che pare respirare, e chi è che l’ha ucciso? e come si chiamava?
madre, madre... potete me e voi... sento che arriva, polonio dove va a nascondersi? dietro l’arazzo? e perché?
sangue di cristo a me? no, la croce la tengo per vezzo io vado predicando a re, regine, mogli e fratelli, ne ho da predicar per anni (fa per alzarsi
il giorno avanti agli occhi, uno specchio, ossia mirare la parte più segreta, volerne far di conto (guarda dietro l’arazzo
ai!
(sguainando la spada
un sorcio...
(affonda la spada
laggiù potrà ricuperare il senno, come finito? importa poco, avanti, avanti
azione sanguinosa! quasi così cattiva, buona madre, in modo assai strano, come dicono. strano, assassinare un re e sposarne uno uguale. ma come
osrico: sta uscendo di cervello
assassinare un re? e su che base? (solleva l’arazzo
qui ci ho fatto un corpo, una salma, miserabile, poteva venir meglio, luce, fate luce, voce, fate voce
diventato marcio per troppo zelo, bello dritto, mi ricordo, e sincero, se non è marcito prima è stato un caso, aspetta (alla madre
sì portalo via
conciato con materia penetrabile
l'uso dannato
perché io più di altri. di nuovo. un pianto duro come bronzo, tanto da farlo diventar pelle, ancora, saprò come smagrirmi, fino a farmi coriaceo, refrattario
conciata con mestiere a tenere lontana l'acqua fatta perché non ardisca cuciti i pezzi l'acqua la lingua continua a dimenarsi facendomi dire cose non mie spingendo la mia gola contro la mia a corrompere altro schifo o quello che è. mi prende e sgraffia. sotto la faccia s’intravvede un poco di grazia, no
primo becchino (tenendo in mano un teschio): ecco un cranio che strappa via ogni roseo volto d'amore. da ventitre anni si trova sottoterra
chi li renderà mai così falsi e nulli i volti, i pensieri, le parole, fosse che stanno già tutte intorno la faccia
non saprei
strappar via la peste dal corpo da un’anima a rovescio come da una caraffa come per un sacro rito preso in un’accozzaglia di, riesco a vedergli il cuore, vedo il cielo attraverso gli occhi di yorick, strano, prende in faccia questa massa solida e compatta di giorno, di sole, di luce, povero yorick... quest'uomo l'ho conosciuto. qui erano le labbra, e qui il naso, e qui un'armonia di forme, insomma, tradotte ora in beffa, in un ghigno come se ogni dio avesse impresso tra i suoi denti la propria smorfia, va', va' ora così, va'
infetto da chissà che ruggine, corrotto da chissà che ridere
e dire che siamo il seme sano, ma ditemi che razza d’occhi teniamo
avere occhi, dico, in che modo... (a parte
non mi dite, per carità, di chi è il teschio (con disgusto
da questo a quello. con discernimento, certo, poi l’estasi, fino a elaborare una congettura, niente affatto. asserviti tanto al vaneggiare quanto ai fili della logica. ecco: non sapere e conservare in sé un minimo di facoltà, di scelta, farne un paragone
messa e ritirata dal mondo, sembrava una faccia, scura, nera da farne una crepa, da farne un muro, un riparo di corpi, da farne carne, da farne vergogna
in tutta confidenza, mio signore, ha presente il gorgo, la zampa, il cuore d'una femmina matura? trita da ardente giovinezza, presa d’ogni virtù ecc
regina: che fate lì voi due? (esce con orazio
a quale altra cerimonia volger gli occhi in fondo all'anima a dare altra anima (piano, a orazio
e di ofelia, della sua, dico, della sua massa carnosa che fu mia, o no, la sua morte fu dubbia, senz’altro, scivolare così, morire per acqua, e anche se fosse per un ordine divino intervenuto a bilanciare il fato, la sorte, a riempir la ciotola del cane
sepolta dove, chiedo. vado e resto là, decimo, ventesimo, ennesimo sposo
le campane il corteo
a implorarla sempre ennesimo eterno sposo, il decimo, il ventesimo, l’ennesimo
o angeli del cielo, via, sciò, non vedete che è rimasto niente? o angeli del cielo come fate a fottervi con quelle ali? su, calatela, e alla sua carne chiedete di sfarsi con grazia e per una più nobile figura
regina: o gentile e pura ofelia, possan spuntare su questa terra, aulentissime
viole... io me infelice... sì, arrivo, arrivo
su, sopra, resto consunto da un continuo fremere, colo sudore e veleno, ne faccio pioggia caprina, ne faccio peste. trascuro, per ora, di scendere dabbasso (il feretro viene calato
al mio comando, giù al mio comando, è terribile... su, nella fossa
come?... la bella parla! ah, no, ero io, calate, calate
regina (spargendo fiori sulla fossa): dolci fiori, basterebbe solo aguzzarne il profumo, dispari alla tua dolcezza, beh, ciao, addio
sposa del mio il tuo volto, insegnami a scivolare, mostrami come si prende improvvisamente peso e come s’affonda, come si toglie il respiro, come si spegne la luce, come di tanto nero farne un talamo eh? più debole il corpo più forte l'immaginazione, parlate, su, su
regina: ah, dimmelo tu del perverso agire che ti privò dell'eletta, dimmi quel che ti turba, che si liberi la tua ragione! (ai becchini) aspettate a coprirla
questo pianto farlo figlio
guardate come splende il suo pallore... come veste il suo dolore fatica a stare su, sì, le vostre luttuose frasi non l’aiutano certo, ascoltate le sue
agli astri il loro cammino, bloccate lo spettro, le voglio parlare, eccomi, io sono amleto, il danese (afferrandola si scolora
regina: ma a chi parli?
per finirla con questi clamori: perché cercate di venirmi contro mentre la disgrazia incalza alle calcagna d'altra disgrazia, tanto da averne il sopravvento, come a volermi
guildenstern: cose che succedono
a proposito laerte, tua sorella s'è annegata
la mia devozione già la piscio di traverso ad un ruscello, importuna, senz’altro
vedo l’albero che specchia le sue foglie nella pasta vitrea dell’occhio, qui, più vicino, guarda...
suvvia, ti supplico
governo con le dita questi fori, sentirne gli spifferi, questi altri, qui, ecco, col pollice, e poi qui, le fanciulle le chiaman "dita di morto" mentre con la bocca ti do fiato ecco, ne sortirà musica opportuna, ecco, guarda
ti tengo ben ferma, ne tiro fuori una musica, renderla densa, un fiume, una fune
caduta nel piangente fiume
imparo la tecnica, lo strumento. un taglio per ogni sbaglio
come dicevo, gonfiandosi nell'acqua, l'han poi sostenuta gli angeli, come per poca stima del suo peso, l’hanno presa e tenuta un poco a galla ma era così bella, così bella
l’hanno tenuta un poco a galla, ma eran quattro, quattro angioletti magri come scettri, sicché le sue vesti appesantite appesantite dall'acqua assorbita, trascinaron la misera dal letto del suo canto ad una fangosa morte
laerte: dunque annegata
troppa acqua (piange
(esce
re: seguiamolo
tendo l'arco della ragione fino alla punta dell’occhio, a spezzarlo (escono
atto v - scena iii
ecco che entrano il re e rosencrantz e guildenstern e il re... così preparerò una morte, una morte che non avrà colpa, per una volta (che s’inizi a scavare
secondo becchino: c’est la vie
primo becchino: ecco, muti in general lamento
secondo becchino (alzando la pala): guarda che te la do in testa
re: fate veloce
primo becchino: ci affretteremo al massimo, signore (esce
chi perdonerà il mio delitto, ma quale delitto? sta qui sulla punta, nera, sta scritto, appena detto, perdona il mio delitto ecc
non potrà che giovarmi. avviato, come se mai fossi nato. ho lasciato i bagagli fuori, partivo o tornavo? da dove? le faccio portare dentro, una serva si sente male, sviene, bel teschio, e che gambe...
ripercorro le corrotte vie di questo mondo messo fitto nella mascella di caino, che fu di mano delittuosa, sì, ma dotata essendo il primo
se non fosse per quel villano rigore della legge
o sciagurata condizione! o cuore, nero come un verme, più lotta, più rivoluzione, se solo ci mettessero più gusto
lenzuolo lama taglio corpo quel tanto che basta a dargli nuova dimora scavata sotto scv vendicato... vendicato, solo così qui c'è un altro teschio. non è il suo. eccone un altro, no, non è ancora il suo dove io, siccome unico figlio di quel padre, spedire quello a lui, quel ribaldo dritto in cielo... cielo?... a dopo le carte, i cavilli, la notifica delle cause, le multe, le obbligazioni, il conto, ragazzo, il conto
ci metto pure un’ipoteca al trapasso e dove che devo firmare firmo
pronto a vergare stipule su pergamene larghe e lunghe e terribili, ne trascriverò i momenti d’agonia (di tormento), v’apporrò titoli fantasiosi e rarissimi, scriverò di prede, e di rabbia, di terre che entrerebbero a stento in questa scatola, ché s’avrà più spazio, più profondo ancora (uno strazio
fermo come ramo senza vento, respinto al mio arco, spolpandone il frutto, il torso, il cranio maturo, tanto che cade, e raggiunge il bersaglio, farne subito un altro
scordate per natura che ho perduto un padre nobile, e lo vedo spesso, ancora, come ognuno ancora non vede
facciam promessa, morto quello, muore il dolore e la lode a ciò che non è gioia, ma nuova sorte, più distruggo più ce n’è. s'ergeva alta, la sfida all'età nuova, alla vicenda dei decreti divini: "dove di gioia nostra, ecc
sicché pian piano verrà l'ora della vendetta. appunto
da non credere una stoffa tanto flaccida, un niente
il punto è che mio padre m'era caro, ed io sono a provare questo: se sia l'amore caro a me... e questa, spero
basta, son stanco
atto vi - scena i
alto e possente, sappiate che io ho fati che corron separati e che ogni nostro disegno è nudo, ho rimesso sul vostro regno il mio piede, miei sono i vostri pensieri, nostri sono i vostri pensieri, mostri i loro pensieri. madre vi racconterò le ragioni del mio del tuo primo
regina: c’è una luce strana qui, non trovi?
vuol dire che mi neghi il sole. è solo un trucco, uno svago, ecco fatto sparire il sole, di riposo ci sian le notti
in un poscritto aggiungo speranza, mia sola ambizione, che ne pensi? che si sperdano e distruggano tutte le mie voglie, ogni contrario che la gioia toglie e potergli gridare sotto i denti sei stato tu, sei stato
re: quand'è così...
tornato come a voler desistere dal sonno, come sciagura, come un viaggio a dismisura, a vedere una qualsiasi vita, futura, a prendermi (alla regina
madre, come vi sembra questa già ben maturata mente, tutta recita, tutta regina?
regina:
ed ecco, ancora, uno spirito vago, di fiamma, si dice che tu brilli, tutta me, tutte maestà le doti tue, pure, toccami, toccami, t’ho pure sognata (passa un attore
ofelia: un semplice nastrino sul cappello della tua giovinezza, ecco, già scompaio
potessi vederle amoreggiare pure e vestirle di nero ‘ste bambole, costerebbero un gemito, quelle smorfie però attaccar bene le membra per movimenti meravigliosi e strabilianti, farne un sol corpo, una mistura d'erbacce, di bestie, d’un’ecate tre volte avvelenata, tre volte infetta, mi mostra come volere, inventa figure piene di virtù capaci d’usurpare in un sol colpo accorgimenti ed esercizi per la respirazione, il pensiero, inferiore a numero uno vita, natura (versa il veleno
re:
regina:
re:
fatemi luce, andiamo, andiamo, polonio, veleno della nazione, fammi luce, luce (escono tutti, meno amleto
come una pittura d'afflizione, un volto, piume sulla testa, un paio di rose senza cuore, perché chiedere (recitando
perché tu sai, buon demone, il tempo di questo regno, il tempo che si modifica come fuoco, e lo spegne, il regno, lo grattavo, aspettavo la scintilla, ma niente, la fiamma era dentro, spirito, una rima più calzante, non resto, non v'è nulla sulla verità sulle parole dello spettro, certo conserva la stessa sua bontà, l’avete visto?
orazio: benissimo, signore
per puro eccesso. quello che noi vogliamo dobbiamo farlo subito, perché siamo assai mutevoli, indugiamo in lingue torcendole al vivo della piaga, ne facciamo un intero discorso, da tagliare quando sta ancora nella gola, farne chiese, nessuna chiesa, farne un santo luogo, asilo d'argomento sopraffino, patria pura addomesticata da grandissima pena, la cortesia ha buona fibra e parla francese, facile mossa scegliere la mano priva di destrezza, farle mimare una ragionevole risposta, lo spirito a segno, intinger la punta d'un coltello, tipo in una madre, non più di tanto, giusto che si senta una punta offesa
nel centro della cava di sangue farne un infuso tra i più sofisticati, d'erbe raccolte e chiuse tra fogli bruciati da più basse fortune, profondate e sorprese, tirate su, come prese per
intingerò, portentoso figlio, la punta in questo sgraffio, tutta un’altra ferita questo stupore, sarei proprio curioso
perciò bisogna dare a questa trama l'appoggio che ne conviene
amleto:
due mani ancora più ladre e un’aria più spessa più prensile e le vostre teste, ecco, mettetele qua, avrete caldo qua dentro, chiedete da bere, il re ve ne verserà di quello buono, tenete pronte le coppe: basterà una sorsata (applausi
re:
laerte:
succeda quel che può. soffrire è niente, la sorte, gli schiaffi, le carezze
i pari di spirito più sotto, per gradire
l'istinto così ben farcito da arrivar lontano
i corni pittati con diletto (l'occulta verità dritta alla tana, all'ombra
regina:
terrò piantati gli occhi in faccia, lacrime mie, sette volte salate, bruciate
orazio:
è dunque possibile che il senno ecc
re, regina, ofelia, polonio. rosencrantz, guildenstern:
atto iv - scena ii
è il momento per una più preziosa parte
ofelia (cantando
scegliete un posto a sedere
re: beh, come sta il nostro oh...
mangio aria farcita di avessi quel senno ch'era tuo, e potessi fare promesse
rimanere (a Polonio
che parte faceste?
polonio: cesare
recitare dovrà essere un vero scordare, dico crepare, e qui le viole, spuntano come viole, va’ dai tuoi pensieri, e restaci
rosencrantz:
regina: vieni, mio buon amleto, qui, vicino a me
amleto: posso giacermi in altro modo... ecco una margherita... in seno a voi, no, violette vorrei darvi, ma appassiron tutte quando questo, no, la testa, intendo mio padre, m'hanno detto, che è stato al vostro grembo
oh
ofelia (canta
appare canta scompare
ofelia: ho pensato a nulla, mio signore
nell'incanto della sua vai già via
ofelia (canta
dunque non torna - è un pensiero gentile, il suo, dopotutto, dico tornare
sdraiarsi tra i meno, no, sarebbe troppo, mio diletto, riposare tra le sue gambe
ofelia: che dite se metto quella bianca, monsignore?
amleto: niente, niente
ofelia: siete allegro, signore
amleto:
bianca come neve, e allegra, io? perché sto quaggiù
da due ore, forse meno
che dite, monsignore? son quattro (esce
che si vesta a lutto questo dolore
laerte: e sia
(ofelia s'addormenta
vedendola addormentata, amleto s'allontana
(entra osrico, porta via il corpo trascinandolo per i piedi, ha sul capo una corona, si ferma, bacia ofelia
atto v - scena vi
rientra elsinore, stanza nel castello, entrano orazio e la regina, vedono il re morto, fanno un cenno al servo, chi è questo? è morto, non lo riconosco - fa gesti di disperazione - chi? - l'avvelenatore - chiede di parlare
servo: è un marinaio
altri quattro
s’avvicinano, così dicono
orazio: bene, falli entrare (esce
regina: non so da quale angolo del mio cordoglio pervenga una pena per quel corpo, il corpo del re, ne ho visti altri, e di migliori, portatelo, via, insieme a quell’altro
(amleto corteggia la regina, porgendole doni. la regina muore, amleto muore
(amleto viene portato via, insieme a quell’altro (entrano altri marinai
primo marinaio: sul principio mi sembrava restia, ma poi
orazio: così te
primo marinaio: ho qui lui
(agli attori viene consegnata una lettera
ofelia (ad amleto): la pantomima riguarda ciò che è dato sapere del dramma, solo che non è dato di vedere
orazio (legge
(entra amleto
se è questo il modo di arrivare e stare, incapaci di tener segreti, diciamo tutto, troppo lenti, andiamo, stiamo per dirvi il senso
ofelia: avete avuto coraggio e vi abbiamo abbordati. ecco, state attenti al dramma, al prologo, ci affidiamo alla vostra clemenza, vi chiediamo d’ascoltarci buoni e pazienti (esce
amleto: sarà un prologo breve, come amor di donna. ho da dirvi all'orecchio parole inadeguate al calibro della questione. a presto (muore un’altra volta
(enter i marinai
fingano più strette labbra, le vostre mani
regina: è di strada il re? vorrei conoscerlo meglio, leggergli la lettera, ma in fretta (esce
atto v - scena vii
re: insomma, ho paura, e adesso?
regina: al senno e ad ogni altra ragione son richieste paure, e là dove le piccole paure si fanno, oh, per due ore buone fanno grandi cerchi e punte, almeno tre, crescono, per precise ragioni, che possono sembrare da poco, scusa ti devo lasciare, mi chiamano
regina (esitante
re:
amleto: