So che voglio - scrive Michelstaedter - e non ho cosa io voglia. Un peso pende ad un gancio, e per pender soffre che non può scendere: non può uscire dal gancio, poiché quant'è peso pende e quanto pende dipende. Lo vogliamo soddisfare: lo liberiamo dalla sua dipendenza; lo lasciamo andare, che sazi la sua fame del più basso, e scenda indipendentemente fino a che sia contento di scendere. - Ma in nessun punto raggiunto fermarsi lo accontenta e vuol pur scendere, ché il prossimo punto supera in bassezza quello che esso ogni volta tenga; E nessuno dei punti futuri sarà tale da accontentarlo, che necessario sarà alla sua vita, fintanto che lo aspetti [...] più basso; ma ogni volta fatto presente, ogni punto gli sarà fatto vuoto d'ogni attrattiva non più essendo più basso; così che in ogni punto esso manca dei punti più bassi e vieppiù questi lo attraggono; sempre lo tiene un'egual fame del più basso, e infinita gli resta pur sempre la volontà di scendere. - Che se in un punto gli fosse finita e in un punto potesse possedere l'infinito scendere dell'infinito futuro - in quel punto esso non sarebbe più quello che è: un peso. La sua vita è questa mancanza della sua vita. Quando esso non mancasse più di niente - ma fosse finito, perfetto: possedesse sé stesso, esso avrebbe finito d'esistere. - Il peso è a sé stesso impedimento a posseder la sua vita e non dipende più da altro che da sé stesso in ciò che non gli è dato di soddisfarsi.
domenica 26 aprile 2009
argomento per una conversazione sul tema del peso
Pubblicato da riccardo cavallo
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