Le stanze di Princess Monodose opera recentissima di Roberto Cavallera, già presente sul suo litweblog prosthesis, si sono rivelate indispensabili anche per queste pagine. Ripercorrono quell’istante e quello spazio insondabile in cui si interrogano e si rispondono a vicenda affabulazione e dettato poetico, dissolvendosi l’uno nell’altro e dando luogo ad un oggetto nuovo. Questo oggetto nuovo è una cornice ad alto tenore drammatico ed erotico; però non contiene alcuna figura, così come è del tutto refrattaria a qualunque narrativizzazione o novelization che dir si voglia. Non si risolve in narrazione o racconto, apritisesami e chiusure assolute vigenti e cogenti; fa invece del suo principio costruttivo una serie di sottrazioni, di tagli invisibili, operazioni più vicine alla magia che al gioco di prestigio. Allora il concreto concatenarsi di corpo, eros, cibo si fa contorno di figure definitivamente assenti. Che ne è della tragedia, del suo mutarsi in dramma e delle metamorfosi che subisce? Qualcos’altro. Il dramma resta (la tragedia è tutta nei nomi), ed il nome del nome non è il nome, da Laozi a Lewis Carroll e oltre: va (quasi) da sé che qui non si tratti più d’una o più questioni di critica o teoria letteraria, e che s’avrà a conversarne con altri mezzi.