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che l’agire ti conservi dolce pervicace fiamma
indovinate se l’interprete riesce a far sua la frase o pensate a una qualche distinzione tra questo nero e il vero
signori. tolleratelo. è che recita robe di morti. ormai. lo fa per mestiere. non vedete che disastro?
non avrò madre che non sia musica non avrò padre che non sia spirito (puramente ornato
e m’è dolce questo tuo tornare che fa questa notte un mare d’acqua nera, ah, oziose forme di vita, ma non senti freddo ai piedi? ma poi, ce li hai ancora i piedi? è che dio sedendosi t’ha preso sulle ginocchia dicendoti esala, esala ‘sto ultimo respiro, non è neanche tuo
giovane e bestia parola, è la regina che tratta, diletta, con questa notte, pronta a dire al suo re di come, da viva possa ancora a lui dettar parole... che paura aveva a vederlo tale quale com’era, com’era... (non riesce a dirlo) non venirmi più a chiamare - ma non quel chiamare. sospira. per via della carne? si crede immaginifica lei - bisognerebbe chiedere a laerte, così pratico di bellezza... la sofferenza così stranamente debole... sicché lo spettro allarga le braccia e scompare
rimasto ucciso... là insieme al buon gusto... bevuto se stesso come da coppa pregna d’acque morte, ma morte davvero
è legge di natura - lo sai bene -
che ciò che vive deve pur morire
dal mortale passando all'immortale ecc
e al figlio tutti quei ricordi messi su come una rovina qualunque
non vorrebbe che quel suo addormentarsi
al primo incontro col re, questi si profonde in sfrenate lusinghe a chi?
non se ne intende il labiale
che vada a fare in culo il re, disse il re
insomma, amleto esce (i re restano
come che sia d’uno spettro vederne lo spettro, come che sia d’uno spettro vedere che si gira, come che sia di pretendere che un essere si faccia in due, insomma che ci sia un prima e un dopo... se sia questo da spiegarsi senza vaghezze altre, cristultime, inutilmente amplesse darsi piuttosto in infuso di parole, e con queste coprire quelle della regina (straparla
sorpresa con in mano un libro e nell’altra una coppa
le si domanda se questi siamo noi... non capisce ma sorride gentile
questo noi questo?... come che sia d’ammazzarne uno e vestirne i panni, ne manca sempre uno (io però
ah, sudditi chi potrebbe mai insudiciare col proprio corpo il proprio spirito! tanto più un puro spirito: capite niente: coglioni
amleto, sappiatelo, è budella delle mie budelle
è che davvero, mi sembro vieppiù venerabile, ah, poi questa, questa è grossa
uccidere, rubare, usurpare, ah, finalmente uno specchio! sì, mi ci vedo mi ci vedo
ah, figlio, amico, verme, viscido lombrico, non mi dire, non mi chiedere non pretendere, non parlarmi di sorte, com’è che sei così tutto incazzato?
(afferra la mano di amleto, teneramente
amleto: lama del mio sommo dispetto, non gola, ma bersaglio
re: chi di noi finiresti prima figlio mio? noi me io?
sappi che, respiranti al meglio delle nostre possibilità, sono, siamo, di salute perennemente ragionevole, a seconda dei flussi, e degli umori... presto, aria
amleto: resta uno stato in armi, il mio, e un olezzo, madre, rivoltante, madre mia, che pare d’anima andata a male, signora mia. solo di spirito a volte ci resta di stare. spirito d’un santo trapassare. ch'io angosciato - ottimamente - ordino le carte di chi m’ha messo al mondo: ne sprofondo. e voi, che conoscenza avete relativamente al vostro, come dire, esser viva? voi bruciate d’una natura troppo benigna, tanto che siete voi, che in piedi state e non l’altro
sempre stare invece al di qua dell’inascoltato, qualunque cosa voglia dire
(enter tutti
con che gesto limitare la parte del tempo che s’approssima e supera, supera, inesorabile, ogni nostro scampo d’andare? mi resta pur sempre il levare l’arma al cielo e riabbassarla insieme alla terra, al tempo, a ‘sto cazzo di sacramento
vedi, zio, è di te che vorrei, una parte, mozzare. è l’ora, ricordi, come da fanciulli come ad ammazzarsi con spade di legno - è l'ora fanciulli? è l’ora? no no non ancora, un atto? due? vince chi crepa di più
dorme spesa, la mia regina, fra le sete preziose e vaghe d’un darsi a carni seminuove, sorelle d’altre ancor più sfatte da terra direi perduta e scura e che vorrei putrida e ancor più morta per un più lesto appassire
enter quella vacca, con che lacrime poi ma con che ingegno
eh, rendere ogni presenza un’illusione - come? non ho inteso... renderlo cosa? strappare che? sì, certo, suoi, suo, ma eretico d’ogni ipotetica grazia o pietosa devozione... io che son pur sempre qua, come per una decisione incongrua al mio partirmi come seno ferito, solenne, dai colpi d’un destino presto e pregno
mi dicono che è stato visto il fantasma d’un morto, visto come fantasma di vivo, proprio, infettato da fiati comuni, mortali, l’han visto recitare una parte, l’han visto andare, l’han visto (per un poco) restare
dicono essere, dicono che l’han visto, e dicono... no non può essere
mi par sempre di vederlo...
dicono che l’han visto venire, l’han visto andare, l’han visto tornare...
a recitare l’onnipotente, sì, tenendo la scena, predisponendoci all’ascolto, con paramenti adatti al vaghissimo volto suo. prenderà ancora idioti all’imbarco? si chiedono
qualcosa come dell’azione, l’olio del buon attore. ah, madre d’ogni tentazione, lo vedo già leccarsi la ferita, l’oltrenaturale afrore, fiammato d’ogni colore
ditemi se non vi sembra ancora di vederlo...
sarà la polvere a contendervi le pelli, gli ori, gli artici vostri cuori, gusci di sostanze preziose e pertinenti ad un animo estorto alla buona sorte affossandolo in due occhi inquilini d’ogni sorta di tragedia e la lingua a dimenarsi, avara, in cortese tenzone al buon dio (lui la vostra abbondanza a miglior moto d’astri a miglior arbitrio
(ridendo
sbiancare le ossa, farne armature a durare eterne, più sanguinose ancora. fuori ferro, fuori, spiccato il cranio, il teschio, il cerchio. che orrore, portateli via. destinati a più ripide fosse... portati da diavoli ulteriori di ferro e lustri
(recitante
atto v scena iv
tanto vale seguire la figura strana di quell’anima monca del corpo - ma com’è che cammina - e fantasmi pure le vesti - dice polvere, proprio così: terra - e ci copre bene - ne fa creta - a tappar bene scarni spifferi di vento tra fianchi sfatti - impossibili al rammendo - una crepa al muro del fato - della fortuna - crepa d'un tradimento - al riparo d’una lingua stemperata dal soffio aspro dell'inverno sboccato nel veleno d’un ingoio oh abbandonato a un satanico feretro qui sposo all'urlo mortale a inumidire gli occhi fiammati da un utile inferno
occhi fanno il cielo sì umile
fin qui le succinte cronache d’esequie e funebri traspiri, stramorti, presi in ordine fatale (maldicevoli - epitaffi
requiem a recitare, primo attore, il riposo, non la pace, repertorio d’un dramma più gentile: non si tratta qui del caso
(escono
officiante d’una breve battuta, a gemere tra le righe scritte dal basso all’altro, rito calato nel testo (l’ennesimo
enter la bella, ha dei fiori d’addio, e va, li sparge sul palco, andate, che vado anch’io, dice, ricamando nell’aria il proprio stare, su andate, addio (a parte
no no, aspettate, per finta, se non altro, a ricoprire d’altra terra la terra, che mi possa stringere, con passione piegare l'anima tra i pochi steli d’altrettanto pochi fiori (ché poca polvere fanno i sogni
atto vi scena v
ammucchiato il volto sui vivi finché il pallore vi confonda gli occhi in questo piano di lacrime, azzurra fonte d’un olimpo al tratto (ci stanno le mie gioie, astri futuri dello stesso mio fetore
(esce
parole fatte per afferrare la mente la gola
s’avverte a pelle la tua colpa, mio sire... non impallidire non pregare, innocenti chi? gli innocenti? via, tieni fermi il tono, l’accento, la vista, l’udito, la gola, prova a stringerti, fammi stare, ma attento. quale pubblico? quale palco?
puro per quel tanto che mi consumo: prudenza, causa del temere
(facendosi intorno, invano, alla fossa, fin dentro, mancandone il centro, il dentro, stretto, troppo stretto, misurato intorno a un ultimo cerchio (ne spiega l’apparire, nei dettagli) se lascia questo
amavo o
vuoi piangere? vuoi batterti? capace di mozzare d'una colomba il volo. e senza duello
digiuno di fiele. bevo ogni torto. mi divoro quanto un'idra. dovrei anch'io. ingozzarmi. avvolto in carogne di fossa. interrate, povere salme, ancora vive, tanto da arrostirsi, lì sotto, il cuore spegnersi bestemmiare per ben altro tropico fuoco
questo a teatro so farlo anch'io e sulla scena spiattellare a tratti pochi (pochi) crimini, perché covati come cuccioli dorati di miracolo, d’assassinio
ragione tipo indulgere al padre, ad uno spirito che potrebbe essere un diavolo comparso così alla pazienza di uomimi troppo presi d’altri pensieri (respirano, pure) ingannati, ingannati. discorso però scadente
atto v scena vii
(alla mia debolezza regina
umori di tomba presto avranno un vivente da masticare
cosa, cos’altro per indurmi alla tranquillità, alla dannazione ritorta e muta, al dramma
recitato sarà il sonno, torbida audacia, oblio infamie dalle grosse trame a più non poterne dire. dio (o chi per lui) sondando forma e sostanza
appesa ai nostri fini una domanda una. si dà il caso ch'io, pur pregando, restassi ancora vivo. non assisterò ad altre altezze e non vivrò per vedere la fine, lo spettacolo il filo invisibile della spada stretto quasi dovesse troncare la consolazione vizza d’una testa. ne fa invece un ricamo
reggi il mio al tuo, di talento, ma stimolalo ancora, indirizzandone ora lo spirito ora il sapere
come, come ho fatto vivere di tante distrazioni
preso da ben altre altezze, io
(esce rosencrantz e quell’altro
re: andate pure, voi, ho un prologo dolce da sproloquiare. in tutta discrezione (a parte) far fuori pure il figlio
e che si dia inizio al dramma... cosa vile non lo scritto ma il recitato
amleto: miglior causa all’atto, e molta conoscenza
mi strugge il sentimento del non aver scritto ancora del sangue, ma in che modo vederglielo uscire? no no, dico, dal taglio farglielo uscire come calda preghiera. e delle tue grazie, poi, nutrirmi indisturbato, mia regina, e di virtù squisite, tipo la pace, poi, ad esempio, incoronarti
ne sono persuaso, persuaso, che dio regni come se ne avesse voglia
io, più duro ancora, ne ho voglia per davvero
(esce una virgola, per l’emozione
atto v scena i
ofelia (e così via
comincia col passeggiare ma con gran peso, in cuore, o dove
come se avesse preso gusto al tenore della propria grazia (a morte ofelia, a morte
ché mentre passeggia già muore e cade, ma senza lasciare, il libro, troppo, presa, a
ostensione temporale no occipitale a dar colore a purgar l’anima da chissà
il cielo, compunto, fece il resto, umettandone la caduta
sorte questa oltraggiosa, frutto marcito dal fato dirsi inframmettenza alle doglie d’un più basso stare già che a piene mani si tiran colpi insani agli avversari, alla carne (danno e danno
accaniti
ora rifletti: sognare, forse, già, ma non qui, che si dismaga l'intelletto: perché dentro m'ha, quel sonno, trucidato come della morte d’un padre a insozzare sogni altrimenti scrollati via da un fastidioso
ecco dopo tanta attesa il successore, tenevo pensiero che, che deve avermi gettato, amo, esca, nel dubbio, nella stessa vita che mi fa così, un po’ sciupato, ecco, quale frode... quale miseria. perfettamente indurato alla coscienza saldato ad un linguaggio (borioso) (superbo) per natura dedito alle pene, all'amore
dicevi ofelia dicevi mi dicevi
atto ii scena ii
merito paziente dell’offeso è l'intervallo della mano, la preparazione del colpo, della vendetta. alla morte non si chiede permesso, si bussa, si entra, si prende tutto, si conta fino a uno, si ricomincia
eccedere al proprio fardello alla gramigna che appesta al peso che muove ‘sta messa in vita, timorata e riflessa a se stessa, oscura, inesplorata, mai stata, che torni a trascinarmi in quella rabbia
osrico: per volar, signoria, nell'aldilà, occorre coprirsi, che fa, colà, ancor più freddo che qua
amleto: è fumo di palude quello che vien su?
orazio: no, è una morta che già scolora
amleto: no no, mi sembra più un pallido riflesso rimasto lì per troppo frettoloso riflettere... cos’è che tiene in mano? un libro? un pensiero?
nome dell'azione (vede e riconosce il cadavere di ofelia, fa finta di niente
osrico: i miei, dolce signore, peccati, son più niente in confronto a ciò che vedo
(entra lo spirito di ofelia che vede e riconosce il proprio cadavere, fa finta di niente
ofelia: ben disposta, ben disposta, vorrei portarvi qui, mio signore, nel mio spirito, metterci i vostri ricordi perché io possa ritornarvi. in mente. e che veniate a riprenderveli. non io (non io) no, no, ben sapete, credete d’averli dati a me - accompagnati da molto freddo, sentite, soffiate pure, pure... già morta, dite...
osrico: parole spiranti profumo, vorrei starle qui intatto tanto da diventare
amleto: eppure avverto, oh, ma è già svanita. sarò io. tenetemi. sì sì, rammento bene il suo viso, par coeur chi parla? un cuore forse che... gentile, anche - sì, è vero, come se cosa, come se fosse... beh, si mostra a dire... suo, e crudele, eccomi: siete bella? oddio, proprio una bellezza no, ma di rara perfezione, ecco, di bell'onestà, di buona compagnia, un po’ ruffiana, denti buoni, gran figura, ecco, rifarmi alla figura vostra come somiglianza. la merito? sì? degna, sempre, sì, la bellezza: mio contenitore ideale, mio credere. pare (avvicinandosi al cadavere) ne soffra, di questa cosa, la bellezza intendo, ebbene pare che ne soffra la virtù, cui non s’offre mai alcuna perdizione, in virtù di a onestà di cosa dal tronco mio piantato a terra cresceranno rami da cui cadranno fiori, e foglie, manco tenerla, tutta ‘sta terra, manco tenerla, manco farne un inventario, mai amata, peraltro, a pensarla mi prende un capogiro, un capogiro
con far pantocratore prepara e manda giù peccatori, la verità tuttavia stigma, colpa di tanto grosso taglio. dentro nascoste cose come da partorirle a momenti, come vendicativa, sì, ce lo hai messo ma lo rimetto
osrico: come infallibilmente favellate, signore
amleto: non ero io
la forma, il tempo, sufficienti a consumarli, ora, che fate? noi si fa al mondo un drappeggiare del nostro essere così sempre questo strascicare sentire, nostro, troppo, qui, tra rozzo fiato di cielo, di terra, doti pestilenziali, ammonimento a stare, sì, ecco, di nuovo, resta, no, vai: casta come ghiaccio, candida come neve, ecc
a imbellettarti, vai, vai ballonzola, sculetta, bamboleggia
vai, vai
ofelia: son creature che han male di dio...
amleto: non ho inteso, come? (rivolgendosi a osrico) sei pugnali, più gli accessori, cinturone, pendagli. sai, è tutto qua. vai, vai, vattene hai detto?... (escono
(rientrano
ofelia: che parola, che nobile mente
osrico: i pendagli, le armi, una rosa, signore
amleto: questo giardino è troppo corto, più del nostro regno, più del regno di quell’altro, a proposito, quand’è che ce lo prendiamo? anche se preferisco questo. dicevamo: più sei cavalli, e gli accessori, più il miele, più la banda (fatene arrivare una di riserva più tre nel suo cuore che so, so essere desolata, sublime, dovunque andata fessa, stridula, come cosa andata come forma usata di bellezza che più non capita di vedere, la figura dico, e l’aspetto, ho una sua foto, son sicuro d’averla, diamine, l’ho lasciata sul cruscotto
atto iii scena ii
osrico: questa specie di principe ha un delirio
basteranno tre stoccate (ho sei spade) ne restano tre
osrico: da intendersi folle, coglione d’un folle, e pensare che con tutti quei soldi
amleto: signore, mio signore, sapeste che sto covando, avrò da passeggiare sui fumi rotti delle ossa vostre
osrico: quel suo cervello straniato e quella madre a far la frivola con quell’altro, poi
hanno assimilato l'aria al tempo, pare la respirino, come io la respiro, eh, dentro solo schiuma, li prende tutti e me li nasconde, se li porta via, dispiace però, andrò anch’io e basta, soffierò e spariranno, metterli qua, alla prova, pagheranno, origliano, perfezionerò l’eloquio
osrico, no, quello posalo
piuttosto, mio re, non trinciate troppo mia madre, la regina, ecco sì, aspiratela bene, aspergetela ben bene, ecco, con la mano, così, oh, come gesticola, oh, invece, con garbo, è già subito lì che traffica pure lei, oh, lì in mezzo è già piena tempesta, e manco una parola si dicono, tanto son presi, da quel vortice certo sterile, ma gentile
vorrei loro suggerir più moderazione, dietro la porta stanno i servi, proverei loro a suggerir quel savoir faire, come dire... una laida compostezza, piuttosto, ecco. oh, si netta ora di pura seta mia madre, non oso non oso regina mia ah, ah.. quella ferita che nemmeno credevo (esce
e se preparare un discorso fatto con misura? con amore, ecco, quanti orecchi avrà la mia platea, chi capisce resti qui, no, la rifaccio, porto con me alcune armi, vicine soltanto, là, al cuore... in più parti, oscure pantomime, alla frusta monsignore, siamo già alla frusta
solo una sorta di forzato presentimento... un buon presentimento... forse che un erode può commuoversi? un erode femmina, e che cazzo, meglio un duello
se reale, lo eviterò, ovvio, garantisco, però non ho tempo, mi lascerò guidare dal mestiere, sfidare la parola, e i presagi. un gesto, un gesto e vederlo cadere avendo cura che tutto accada con naturalezza, senza esagerazione, cosa contraria al mio teatro, se non alla fine, se non oggi, adesso, in virtù di ciò che lascio e di ciò che m’ha lasciato
l'azione scenica riesce fra fioretti e guanti con merletti, ottimi punti ottime croci, fra servi che portano un ridere per incompetenza. servi che apparecchiano una tavola con boccali disposti con scarsa simmetria ma con dentro del buon vino (il re prendendo per mano laerte
la platea, in linea di massima non si scompone, bene, vedo laerte, vedo gli attori, (il re stringendo calorosamente la mano di laerte
quantunque privo d'accento tu, gentiluomo, fammi movenze di grazia, invitami ad affondarmi lì, nel preciso centro del centro, così che dovresti crepare subito, averne in proposito buon udito, o meglio olfatto, no, tatto (laerte gonfiandosi, sbuffando
osrico: trista insania, guardate
(scomposto, amleto prende l’arma la guarda, ne ammira la punta
ho fatto di pensare che la pensavo più lunga
una fregna non potrebbe fabbricarne peggio di così, di uomini, a impastarne le membra tanto malamente, a imitazion del vero, ma come, come fai che hai torto, torto marcio sicché mia regina ti proclamo qui abominevole come una pazzia e a correggervi si farebbe torto al tutto... dimmi laerte, a chi la parte del buffone? già che io son dalla parte dello scritto, dell'offeso. son nemico. perciò è tempo, laerte, d’un’ultima affilatissima udienza (applausi
laerte: questo dimostra che il tuo dire è misera provocazione che dovrebbe spingermi a vendetta, preparatevi, su
(escono gli attori, meno polonio
anziani re deputati alla rappresentazione. giudici d’ogni questione. sapranno il mio nome tra poco. ottimamente. m’affretto (esce polonio
orazio: mio signore... scarsa maestria, scarsa maestria
amleto: non crederla tua
rifulgerà chi abbia voglia splendidamente come stella adularmi. il buio mi valorizza. potrei farne, di notti, io. sulla lingua un poco di zucchero. con grazia. più debole d’una qualsiasi
oh, i tuoi pingui ginocchi. sì ho timore. che si pieghino ancora là, fin dove cadevi e lì ti ritraevo con profitto, ricordi? ricordi? ah, sì, vedo che m'intendi. io a far di fioretto con le tue mani facendo il gesto di soppesarle. sigillo senza esca senza macchia sollevata a un palmo da terra, insufficiente, puranche a contenerti, tu m'offri, m’offri, cos’è che m’offri? dai che l'accetto
ed io accolgo morti. fatti di sangue. ben detto. come fatto di sangue io, a disputarmi in tal fraterna gara. a far di fioretto degni pensieri, uno per me, uno per me, brillerai, te, come ti chiami, lae? la? sì tu... brillerai di lama pura, come stella nel ma insiste, la mia regina, che là è proprio buio, è proprio notte. allora ha proprio paura le prenderei tenerissimamente la mano
osrico: compassionevole...
regina: che volete, dunque? parla giovanotto...
la scommessa, mi raccomando, bella ciurmeria (sospira). sovrano finalmente alla vostra grazia ecco battendo il petto e pestando i piedi si scansa proprio come una madre (a parte
con rabbia ma per niente
non ho timore. vi ho veduti. ha poco senso, un parlare che non dica a entrambi. io che sono monco e sono uno avete il vantaggio di partenza. ascoltate, prendete appunti. raccoglieteli e cuciteli come un fiore
osrico: diceva signore?
amleto: questo per me, agli altri altri gesti, faccio bene
così a forza di pensare d'essere animato da un pensiero pari a quale lunghezza? di forma, quale forma lungo, quanto lungo
osrico: sì sì, certo
(amleto e orazio paiono confusi, si guardano intorno
d'una sofferenza disperata, orazio, prepara l’assalto
un secondo assalto
un terzo (amleto s’avvicina a una porta, bussa
regina: fatelo entrare (esce
artiglierie di colpe come si conviene a un re, il re, berrà di me il miglior fiato
o... come va?
(enter ofelia cantando
amleto: come va?
ofelia: come farò fra tanti a distinguere il cielo, e, di rimbalzo, la terra, dolce brindisi d’una cosa che cade, e come cade, cade
amleto: che vuol dire questa canzone?
ofelia: ah, voi, giudice sopraffino, occhio bene aperto! dicevate? sentite questa allora
scivolata sopra una zolla di cosa. ha toccato chiaramente il suolo. per l’occasione in forma d’acqua. trovando un terreno poco adatto alla fioritura. lo doveva penetrare già come fiore, almeno, o.. bene, avanti
re: fermatevi. datemi da bere
casta come il ghiaccio bianca come la neve a.. guardate, guardate ofelia, spara fiori
di lacrime d'amor non d’artiglierie
osrico: così pare, signore
non cosa siamo, ma quel che possiamo, sì, l’ho già sentita
re: (alla regina) nostro figlio ha il fiato corto, tale e quale suo padre (a parte, ride) di cui farnetica un’apparizione ecc e mi sta intorno proprio come suo padre. tutto sudato. che schifo. amleto, toh, prendi, asciugati con questo
atto v scena i
vi dovessero chiedere: “regina di che?”, dite che è stato solo merito della buona sorte. vestita di robe caprine, e pure, e graziose
lasciatevi almeno tergere la faccia no, non bestemmiate, così (canta
(tra sé) eppure santa, per carità, verrà lì sotto verrà! incuranti le altre bestie le girano intorno, su, ti prego, tira su, a fondo, sotto da quanto tempo
osrico: è un niente di fatto
nella fredda primavera delle sue mani, gentili. ferite credo di saperlo continuare a separare altra acqua (esce
il veleno passa sotto, pensavo restasse a galla, come unto, come olio guardate, la regina cade sull’erba resa acerba dalle sue cosce donde sgorga, pare, della morte che, non vorrei dire, ma sa di merda
osrico: la regina, guardate, la regina
orazio: tutta suo padre
perdono molto sangue, tutti e due
osrico: ?
regina: (riavendosi) no, no..
la povera ofelia cosa? avvelenata? ah, quel suo bel senno, senza il quale, quale infamia... ma come, com’è successo
amleto: annegata, madre, annegata...
osrico: amleto tu sei morto e non c'è medicina al mondo che ti possa far crepare peggio, ancora, non avrai vita nemmeno per mezz'ora, inculati tua madre
v’è incertezza fra le nuvole, mentre intorno, in mano, mosconi a infettarmi l'occhio, no l’orecchio (strumento di tradimento) strette pestifere venefiche storie su padri, manco madri ecc ecco ora tutta ‘sta gente, sufficiente a darmi più morte (rumori dal retropalco
(si scaglia contro, dentro
cazzo guardate
uno che muore
madre bevuta non mangia la terra e la porge al re dannato, ma con più furia (in danese
fino in fondo, questa testa, dentro sta una turba silenziosa, sedata a fatica, c'è dentro una perla
la folla la madre (il re beve
ti gratto via il cuore
come fosse oggi
è lui il primo giorno del mondo
la porzione nobile d’altre mani, voci
regina: come su di me la tua (altri rumori da dentro
cani danesi, siate celibi, vi seguo. muoio, orazio... fammi strada... tutti pallidi.. signori, rimanete a questa azione ne seguirà un’altra ma tutti fuori state fuori (la folla si ritira) e tu rendimi mio.. vi direi... vada come vada... mio. mio.. con calma: rendimi mio.. o tu vivi, vedo bene e riferisci onestamente del mio sangue che s’allenta, calma, calma garçon, ancora del liquore
fedele madre mia dammi quella coppa! dammela!.. laerte, perdio, mio buon orazio, qual nome macchiato vivrà. in porzioni, alla regina, di me, rimanere ignoti, sì, tienti il tuo, ne perderai un altro. non temete per me orazio, tienti lontano, poco a poco dalla gioia suprema al trapasso, segue incisione, tradimento, respirare duro, respirare tutto
tradurre l’atto (boiate
laerte, il tuo dolore, tientelo per raccontarlo ad altri ecc
parla, dunque
laerte: dov'è mio padre?
re: morto
re: cos'è questo strepito?
osrico: vetri non di sua mano, non d eh?
da fuori) io muoio, orazio...
muore)